Solidarietà

Cosenza, il Natale degli ultimi nella Casa San Francesco d’Assisi: «Lasciarsi servire è un atto di coraggio»

La struttura offre un modello di accoglienza integrata che comprende la mensa, il dormitorio e l'assistenza sanitaria. Sotto allo stesso tetto, storie di nuove povertà incrociano il dramma della guerra

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di Emilia Canonaco
25 dicembre 2022
19:00
Uno degli ospiti della Casa San Francesco di Cosenza
Uno degli ospiti della Casa San Francesco di Cosenza

«Lasciarsi servire è un atto di coraggio». Breve è la distanza che separa il convento di piazza Riforma dalla fondazione Casa San Francesco d’Assisi. Calzati i sandali, il padre provinciale dell’ordine dei frati minori cappuccini di Cosenza Pietro Ammendola si mette in cammino. Attraversa a passo spedito il lungo corridoio sopraelevato che precede la mensa. In quegli stessi istanti, i raggi del sole fendono le due ampie vetrate laterali. Piccoli tavoli sono apparecchiati con la cura dei particolari. 

Padre Pietro Ammendola

Il saio che ha il colore della terra ondeggia all’unisono insieme al piede lesto del frate. Tre nodi posti all’estremità del cingolo perlato consegnano all’eternità i voti di obbedienza, castità e povertà. «Sono io a ricevere conforto dai poveri. Se fossi stato al posto loro, forse non avrei avuto la forza di chiedere aiuto. Rimango spesso in loro compagnia e trascorro qui il periodo di Natale. La vera povertà, che supera il bisogno materiale, è quella di sentirsi soli ed esclusi dalla propria famiglia di origine. Molte storie sono simili: qualche giorno fa ho conosciuto un ragazzo di Cosenza, figlio di genitori separati. Dopo il divorzio, il padre si è rifatto una vita mentre la madre gli ha fatto capire senza troppi giri di parole che la sua presenza in casa non era più gradita. I servizi sociali hanno consigliato al giovane di bussare alla nostra porta: lo abbiamo accolto subito a braccia aperte e in poco tempo siamo diventati la sua seconda famiglia».


«È nel dare che riceviamo» 

Mezzogiorno è appena scoccato. I primi ospiti si affacciano in mensa e prendono posto in attesa di un piatto di pasta fumante. «Prepariamo 270 pasti al giorno, divisi tra il pranzo e la cena. Inoltre, ogni settimana distribuiamo 230 forme di pane da un chilo ad altrettante famiglie della città. Il servizio si chiama un pane per casa e ci consente di monitorare situazioni familiari a rischio». 

La fede è la stella cometa che guida il lavoro quotidiano di Pasqualino Perri, direttore di Casa San Francesco. «Il Natale è la festa per eccellenza della povertà: il figlio di Dio si fa uomo e sceglie di nascere povero. L’insegnamento di Gesù richiama tutti noi ad avere una maggiore attenzione nei confronti degli ultimi. Lo facciamo nel corso dell’intero anno, ma nel periodo natalizio intensifichiamo gli sforzi nella speranza di raggiungere il maggior numero possibile di persone che necessitano del nostro sostegno: un aiuto materiale oppure una semplice carezza. I poveri non hanno punti di riferimento e sono allo sbando. Da qualche anno a questa parte, la percentuale più alta di utenza è composta da uomini italiani. Si diventa poveri se manca il lavoro, se si perde la casa e se, a causa di tutto ciò, gli affetti familiari vanno in frantumi».

Il servizio del pasto in mensa

«Un raggio di sole è sufficiente per spazzare via molte ombre»

Quando neppure la lente di ingrandimento bastava ormai a mettere a fuoco il mondo che gli scorreva davanti agli occhi, si è rassegnato all’inevitabile. «Sono un perito agrario. Ho lavorato prima al Comune e dopo alle Poste come spedizioniere - dice Faustino - In quegli anni avevo qualche decimo in più e riuscivo ancora a cavarmela, anche se ero sempre più lento rispetto ai miei colleghi. I medici la chiamano ambliopia, io preferisco dire che ho l’occhio pigro. Con il tempo, mi sono abituato a questa condizione: il problema è degli altri che invece mi escludono. A causa di questi problemi di salute, non ho mai avuto il coraggio di costruire una famiglia. Mia madre era l’unica persona capace di darmi un po’ di amore. In seguito alla sua morte, avvenuta quindici anni fa, la mia vita è cambiata totalmente. Ho 62 anni e frequento la mensa di Casa San Francesco dal 2010. Non ho più nessuno e il Natale per me è ormai una festa davvero molto triste. Mi aiutano soltanto il ricordo di mia madre e la musica, che è una cara compagna di vita. Percepisco una piccola pensione di invalidità che mi consente di pagare l’affitto di casa e le bollette. Quel poco che ho mi basta per vivere. No, non mi sento povero: per me la povertà è quando uno non può comprare neanche un chilo di pane o bere una tazza di caffè. Per queste feste mi auguro di conservare un po’ di salute, di non disprezzare nessuno e di riuscire ad amare sempre il prossimo». 

Faustino

Dopo aver consumato il pranzo, Faustino indossa il suo cappello di lana, stringe in mano, come fossero un tesoro prezioso, due vecchie buste di plastica, saluta e s’allontana lento. Un volontario, viso paffuto e capelli raccolti dentro a una cuffia bianca, s’affretta a ripulire il tavolo appena liberato. 

«Mi chiamo Simone De Napoli, ho 21 anni e ho scelto di svolgere nella Casa San Francesco il servizio civile. La mia esperienza è iniziata a giugno. L’indifferenza nei confronti di chi ha bisogno è il sentimento più brutto che possa esistere. Ogni volta che una persona varca l’ingresso della mensa, spero in cuor mio di non rivederla più: significherebbe che la sua vita ha svoltato e magari è successo qualcosa di bello». 

«Fratello, dobbiamo restituire il mantello a questo poveretto. Noi l'abbiamo avuto in prestito sino a quando non ci capitasse di incontrare uno più povero» 

Ines Squadriglia è responsabile del servizio di accoglienza. Il saluto francescano “pace e bene” campeggia sulla felpa che ha addosso. «Abbiamo ospitato persone che in passato avevano goduto di posizioni economiche importanti. Mi viene in mente la storia di un imprenditore cosentino: l’azienda fallisce, la famiglia, che gli attribuisce la responsabilità del tracollo finanziario e rimpiange i privilegi perduti, lo allontana da casa, lui finisce a dormire per strada. Dopo un periodo trascorso nella nostra struttura, per fortuna è riuscito a trovare un nuovo lavoro e non l'ho più visto».

Ines Squadriglia

Ines è circondata dai pacchi natalizi destinati a 200 famiglie di Cosenza che sono state selezionate in base alla residenza e alla dichiarazione Isee. Patate, riso, zucchero, legumi e olio hanno trovato spazio dentro a capienti sacche azzurre. 

«La mappa dei nuovi poveri è cambiata: artigiani costretti a chiudere le proprie botteghe e operai che lavorano a giornata in cantieri dove la continuità dell’impiego non è garantita».

 

"Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile e all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile" 

Casa San Francesco d’Assisi opera sotto l’egida della Provincia religiosa dei frati minori cappuccini di Calabria ed è un porto sicuro dove 135 persone, sbattute dalle intemperie della vita, trovano un consolatorio riparo. «In base a una convenzione con la Regione, 40 nominativi vengono indicati dai Servizi sociali. Altri 40 posti sono a disposizione della Prefettura di Cosenza che ha il compito di collocare quanti richiedono protezione internazionale. I restanti 55 posti rappresentano infine la nostra offerta di accoglienza francescana». 

Il direttore Pasqualino Perri indica il tendone allestito nel cortile di Casa San Francesco. «Durante i mesi invernali, cresce il numero di coloro che chiedono di essere ospitati per la notte. Nell’edificio non c’è posto per tutti e così abbiamo pensato a una soluzione alternativa. Le 16 brandine sistemate all'interno della tenda sono occupate da uomini con dipendenza da alcol e droga, i quali avrebbero difficoltà a rispettare le regole della nostra comunità. Si fanno vivi giusto in tempo per la cena e, dopo aver mangiato, se ne vanno a dormire. La mattina seguente consumano la colazione per poi diventare fantasmi che si aggirano per le strade della città. Riemergono di nuovo soltanto al calar della sera». 

Il tendone nel cortile di Casa San Francesco

La fondazione dà lavoro a 15 persone e dal 2018 è affiancata da una cooperativa che gestisce una rete articolata di servizi. Il direttore Pasqualino Perri spiega: «Il 60% dei nostri ospiti presenta gravi problemi di salute. Il piccolo ambulatorio inizialmente ricavato all’interno della struttura, a un certo punto, non è stato più in grado di assicurare la necessaria assistenza sanitaria e a novembre dell’anno scorso abbiamo realizzato la Casa della salute. Si trova in via Romualdo Montagna ed è aperta tutte le mattine per la rilevazione dei parametri, la somministrazione delle terapie e la consegna dei farmaci. I 20 medici volontari che vi prestano servizio effettuano visite specialistiche di ogni genere. Le prestazioni odontoiatriche sono senz'altro le più richieste». 

«Tutta l'oscurità del mondo, non può spegnere la luce di una sola candela» 

Di buon’ora, Alyona allaccia le scarpe e corre a perdifiato. «Quando è scoppiata la guerra, abbiamo trovato rifugio nella metropolitana di Kiev dove siamo rimasti per una settimana. Ho ricevuto la telefonata di una mia amica ucraina che vive a Cosenza: mi chiedeva di raggiungerla, perché qui avrei trovato persone caritatevoli disposte a ospitarci. Io, i miei due bambini e la mia anziana madre quindi siamo saliti sul primo pullman diretto in Italia. Mio marito invece è rimasto in Ucraina, dove continua a prestare assistenza umanitaria alla popolazione colpita dai bombardamenti. Se dovessero precettarlo, sarebbe costretto a combattere. Non lo vedo ormai da nove lunghi mesi. I miei figli, che sono gemelli, hanno quattro anni: il maschio si chiama Marcus, la femmina Mia. Se non fosse per loro, tornerei a Kiev anche a piedi: sono una sportiva e so correre veloce».

 Alyona e suoi bambini Marcus e Mia

«Purtroppo però gli attacchi russi continuano senza sosta - conclude Alyona - nelle abitazioni mancano l’acqua e il riscaldamento, la corrente arriva soltanto per un paio di ore al giorno: che vita potrei offrire ai miei bambini? Qui invece siamo al sicuro. Casa San Francesco ha messo a nostra disposizione un appartamento che condividiamo con un’altra famiglia scappata dall’Ucraina. Sono un’esperta di marketing, ho ripreso a lavorare a distanza per la mia azienda e questo mi consente di guadagnare un po' di soldi con cui ho comprato dei regali di Natale per i miei figli. Piango tutto il tempo. Il mio unico desiderio è di ritornare in Ucraina il prima possibile e riabbracciare mio marito. Ho sempre vissuto sempre e soltanto a Kiev ma adesso posso dire che Cosenza è diventata la mia seconda casa. Grazie di tutto, dal profondo del mio cuore».

 

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