L’elefante preistorico della Sila pronto a tornare in Calabria grazie a vecchi fondi “ritrovati” dopo l’inchiesta di LaC
VIDEO | Dopo quattro anni di stallo la vicenda dei reperti abbandonati in Molise è a una svolta. A seguito del nostro servizio sono rispuntati vecchi fondi Por che saranno messi a disposizione per riportare il fossile in terra calabra (ASCOLTA L'AUDIO)
Alla vigilia dell'anniversario della sua scoperta l’Elefante preistorico della Sila potrebbe tornare a casa, in Calabria, in tempi brevi. Dopo la nostra inchiesta sulla misteriosa fine del fossile, il sovrintendente ai Beni Culturali e Archeologici di Cosenza Fabrizio Sudano, in carica dal 2020, si è messo in contatto con l’Università del Molise, che conserva i reperti dal momento della loro scoperta sulle rive del lago Cecita, per riportare i resti in Sila.
Il caso dell'elefante preistorico, rispunta il vecchio finanziamento
La cosa davvero incredibile è che i famosi finanziamenti, messi a disposizione anni fa, erano sempre stati lì, a portata di mano, solo che nessuno li aveva richiesti.
«I soldi per continuare eventuali altri scavi e riportare l’Elefante in Calabria ci sono – spiega Sudano –. Si tratta di fondi Por, rimasti nell'ombra ma ancora utilizzabili, parliamo di 100mila euro. Insieme al Segretario regionale del Ministero della Cultura, li impiegheremo dopo il nulla osta degli esperti molisani a cui ci affideremo per la catalogazione, necessaria per l’esposizione al pubblico. Ammettiamo la dimenticanza, senza nessun problema, ma ripartiremo presto con più slancio per dare la giusta importanza a questa scoperta».
Ad ogni modo, dimenticanze i no, i resti dell'animale preistorico, definito all’epoca un «rinvenimento eccezionale per tutta la Calabria» (ne parlò anche il National Geographic), sono a un passo dal rientro ma adesso serve trovare una location adatta. E Sudano su questo punto è fermo. «Senza un posto idoneo e pronto, non posso far partire il fossile dal Molise».
E adesso dove lo mettiamo l’elefante?
Il presidente del Parco nazionale della Sila, Francesco Curcio, sostenitore della causa dalla prima ora, si era detto disponibile a un incontro con Sudano per riuscire a venire a capo della faccenda, offrendo la disponibilità degli spazi appartenenti al Parco.
È lui che da anni sta cercando di far luce sul giallo dell’Elephas, anche se i resti furono rinvenuti su un terreno privato lambito dal Parco.
«Fummo coinvolti nel ritrovamento per dare supporto logistico ai ricercatori – ci spiegò un mese fa -. Ho cercato di informarmi sul destino di quei resti, anche tramite persone che all’epoca parteciparono attivamente agli scavi, ma nessuno sa nulla, si sa solo che i reperti si trovano in Molise, nient’altro». Adesso che la marea dell’oblio s’è ritirata, non serve che fare un ultimo sforzo.
La scoperta del fossile in Sila nel novembre del 2017
Tutto cominciò per caso, nel novembre del 2017. Due impiegati della Soprintendenza, a passeggio in riva al lago, notarono i resti di una lancia longobarda che nascondeva, sotto il terreno limaccioso del lago in ritirata a causa della siccità, un molare appartenente all’Elephas.
Intervenne sul posto un gruppo di esperti paleontologi molisani, che si trovavano per caso al lavoro a San Lorenzo Bellizzi. Dopo giorni di scavi avventurosi, benedetti dal clima mite dell’estate di San Martino, i resti furono impacchettati e trasportati al Nord in attesa di restauro e catalogazione. Dal momento della partenza dei camion dalla Calabria in direzione Molise, e fino a un mese fa, dell'Elephas si erano dimenticati tutti.
Il Molise pronto a restituire i fossili dell'elefante
La professoressa Antonella Minelli, dell’università molisana, all’epoca coordinatrice dei lavori, ci raccontò di come a un certo punto i rapporti con la Sovrintendenza calabrese si fossero interrotti e, di conseguenza, anche le opere di restauro. «La ricerca va avanti così, se non ci sono i finanziamenti, le attività si bloccano. Qualcosa è anche già esponibile, noi siamo pronti a inviare il materiale ma è la Soprintendenza che ci deve autorizzare» precisò con una punta di amarezza.
Al momento della scoperta a capo della Sovrintendenza c’era Mario Pagano che lasciò nel 2020 il testimone all’attuale direttore Fabrizio Sudano. È stato lui che, dopo la nostra inchiesta, ha cercato di riagganciare i fili della vicenda e, soprattutto, di riagguantare i fondi necessari a procedere.
«Naturalmente ero a conoscenza del rinvenimento – dice –. Quando sono stato nominato non avevo idea che la situazione fosse in stallo. Grazie all'inchiesta di LaCNews abbiamo, per fortuna, riportato alla luce la vicenda. Adesso cercheremo di trovare il posto più adatto per rendere giustizia a una scoperta così rilevante».