La storia

Arrivò in Italia da bambina a bordo di un gommone, oggi apre un locale nel Cosentino

Nida Balliu attraversò il mare nel 1997 insieme alla famiglia quando non aveva compiuto neppure due anni. Poi l'arrivo a Tortora, in Calabria, e l'incidente del 2015 che la manda in coma. Ma lei rinasce tutte le volte e ora è diventata un'imprenditrice

di Francesca  Lagatta
3 dicembre 2021
14:22
Nida Balliu durante un corso di formazione
Nida Balliu durante un corso di formazione

Nida Balliu ha 27 anni, vive in Calabria e tra due giorni, in piena pandemia mondiale, coronerà il sogno della sua vita: diventare imprenditrice di se stessa aprendo un'attività commerciale tutta sua, dopo aver passato metà della sua vita a sgobbare per imparare il mestiere. E questa, considerati i tempi, sarebbe già di per sé una notizia. Ma la sua storia è qualcosa di più, è la vita che trionfa sulla morte e sul pregiudizio. È la storia di una bambina di origini albanesi nata per la seconda volta a bordo di un gommone in mezzo al mare, che ha sfidato prima i razzisti e poi il buio e oggi può festeggiare un nuovo capitolo della sua esistenza, scritto con il sudore della fronte e la determinazione.

L'arrivo in Italia sul barcone

Nida non se lo ricorda quel viaggio della speranza su un barcone affollato e malconcio. Era il 1997 e lei non aveva compiuto neppure due anni. La mamma Mimoza e il papà Arti, per tutti Tano, scappavano dalla fame e da un'Albania flagellata all'epoca dalla caduta del comunismo e dalla criminalità diffusa. Volevano ricominciare una vita insieme alle due figliolette e si imbarcarono, mossi dal bisogno, su un gommone che attraversò il mare per ore, senza nessuna garanzia. Fu come giocare alla roulette russa, fu come fare un salto nel vuoto. Alla fine, stremata ma viva, la famiglia Balliu arrivò al porto di Bari, dove per fortuna fu accolta e soccorsa dai volontari. Quella notte fu l'inizio della seconda vita.


L'arrivo in Calabria

Vivi sì, ma senza un tetto sulla testa, né un soldo in tasca e con due bimbe di pochi anni da sfamare la situazione si sta facendo drammatica. Ma pochi giorni dopo il destino li porta in Calabria, a Tortora, sulla costa tirrenica cosentina. Mimoza parla poco italiano, resta a casa a crescere le due bambine con la forza di un leone, mentre papà Tano si rimbocca le maniche e si cerca un lavoro. Diventa un operaio edile e con il suo stipendio garantisce finalmente una vita dignitosa alla sua famiglia, provando a cancellare gli anni bui. Nida nel frattempo cresce e va a scuola. E' qui che per la prima volta si imbatte nei luoghi comuni e nei pregiudizi, frutto dell'ignoranza. Nida è albanese e non può stare in Italia. Ma chi l'ha detto? La ragazzina fa spallucce e non dà importanza a quelle parole, ha altro a cui pensare, come ad esempio realizzare i suoi sogni. Per fortuna sono episodi isolati, a Tortora sono tutti gentili e hanno accolto la famiglia Balliu come si deve a ogni essere umano, con amorevolezza e rispetto. In particolare, due persone diventeranno le colonne portanti delle loro vite, senza mai chiedere nulla in cambio: la signora Jolanda Maceri e don Antonio Rossi. Oggi entrambi non ci sono più, ma il loro ricordo è vivo più che mai.

Prima il lavoro, poi il coma

Nida è una ragazzina spigliata, che sa perfettamente cos'è il sacrificio e ha le idee chiarissime. Così a 13 anni decide in autonomia di cercarsi anche lei un lavoro. Comincia a frequentare i bar della zona, le piace stare a contatto con gli altri, quei giochi di odori, suoni e colori la rendono felice. Si perfeziona, frequenta scuole di specializzazione, fino a quando approda in un locale al centro di Praia a Mare, che diventerà per lei la sua seconda casa. Le titolari saranno per lei altre due sorelle. Sembra filare tutto liscio e invece un giorno del 2015 la sua esistenza viene stravolta nuovamente. Mentre si reca al lavoro in motorino, un'auto la travolge e l'impatto è violentissimo. Nida va in coma. Ma neanche in quella occasione smette di lottare. Riapre gli occhi quattro giorni più tardi e, nonostante le ferite in tutto il corpo, poco più di un mese dopo è di nuovo in piedi. La cosa che le è mancata di più, dice, è stato lavorare.

La nuova attività

È il settembre di un anno fa. L'Italia e il mondo affrontano uno dei periodi più duri che la storia ricordi, ma l'entusiasmo di Nida non si spegne. Pensa che ormai i tempi sono maturi per aprire un locale tutto suo. E la crisi? La pandemia? I contagi? Pazienza, lei è abituata ad affrontare le tempeste, non si tira indietro nemmeno stavolta. Otto mesi fa l'idea diventa decisione irreversibile, la 26enne si mette in cerca di un locale da gestire e lo trova proprio nella città dell'isola Dino. E' un bar, è già fornito di tutto, basterebbe infilare la chiave nella porta e cominciare a servire i clienti. Ma Nida lo vuole fare a sua immagine e somiglianza e ordina dei lavori. Ci vorranno alcune settimane perché sia pronto. L'inaugurazione è fissata per sabato 5 dicembre e l'insegna è già visibile. L'ha chiamato Ohana. Ci sono due donne stilizzate, una intenta a preparare un cappuccino, l'altra prepara un cocktail. Mancano meno di 48 ore all'apertura e la giovane non sta più nella pelle. Ne ha fatta di strada da quando è arrivata 25 anni fa su quel gommone, rischiando la vita, e tanta ancora ne ha davanti a sé. E, grazie alla sua caparbietà, oggi il futuro è più roseo che mai. Buon tutto, Nida.

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