Un linguaggio inaccettabile per la logica delle cancellerie e dei comandi militari. Un’utopia scandalosa perfino per molti che si dicono cristiani. Eppure, resta lì, a inquietare. Perché nessuna guerra ha mai prodotto pace duratura
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Nel giorno del Corpus Domini, la Chiesa cattolica celebra la presenza reale del corpo di Cristo nell’eucaristia. Ma al di là del dato teologico, c’è un significato filosofico che interpella chiunque, credente o no: l’idea del corpo donato, del sacrificio scelto non per distruggere, ma per redimere. Un corpo che non uccide, ma si lascia uccidere. Che non difende sé stesso, ma diventa offerta.
Nelle stesse ore in cui in molte città italiane si snodano processioni eucaristiche, negli stessi istanti in cui si spargono petali e incenso, a migliaia di chilometri di distanza un altro corpo – quello di un’intera nazione – viene esposto, colpito, violato: quello dell’Iran.
Gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco “difensivo” in risposta a presunte minacce. Non è la prima volta. E come ogni volta, le ragioni di sicurezza nazionale si intrecciano con quelle geopolitiche, con il petrolio, con le alleanze e con le dinamiche elettorali. Ma la sostanza è sempre la stessa: si parla di pace facendo la guerra.
Donald Trump, nel pieno della sua retorica ormai scolpita nel linguaggio politico globale, ha dichiarato: «Noi non vogliamo la guerra. Vogliamo la pace». Eppure, pochi come lui hanno incarnato l’ossimoro tragico di cui parlava John Lennon: «Fare la guerra per la pace è come fare sesso per la verginità». L’ennesima missione armata viene giustificata in nome di una pace futura, come se il mezzo non contaminasse il fine. Come se il sangue fosse un investimento in ordine e democrazia.
Il Corpus Domini ci ricorda, invece, che la pace vera non nasce da un corpo che colpisce, ma da uno che si offre. La memoria del sacrificio cristiano, nel suo nucleo più spoglio, parla di un’umanità che non si salva con la forza, ma con la resa. Non la resa vigliacca, ma quella radicale: quella che preferisce essere trafitta piuttosto che trafiggere.
Un linguaggio inaccettabile per la logica delle cancellerie e dei comandi militari. Un’utopia scandalosa perfino per molti che si dicono cristiani. Eppure, resta lì, a inquietare. Perché nessuna guerra ha mai prodotto pace duratura. Perché ogni corpo violato in nome della sicurezza è un corpo che grida.
Ed è forse qui che il messaggio del Corpus Domini può parlare anche a chi non ha fede: non come dogma, ma come provocazione etica. Cosa significa oggi "dare il proprio corpo"? In un tempo in cui i corpi vengono ancora usati come strumenti di potere, territori da occupare, bersagli da colpire o merce da esibire, risuona ancora la domanda: esiste una forza più grande della violenza?
Il sacrificio eucaristico, svuotato delle sue incrostazioni rituali, è l’immagine paradossale di una potenza che non impone, ma si espone. Un modo di stare al mondo che non cerca la vittoria, ma la testimonianza.
E se anche fosse solo un mito, resta comunque più umano – e più disarmante – di qualunque guerra mascherata da missione di pace.