Sul truck di LaC racconta l’impegno della Polizia nel contrasto alla criminalità organizzata, alla violenza di genere e nella tutela dei più fragili. Un invito a spezzare il silenzio e a cambiare mentalità
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Una vita in fuga o dietro le sbarre. Questa, secondo il Questore di Reggio Calabria Salvatore La Rosa, è l’unica vera prospettiva per chi sceglie la strada della criminalità organizzata. Niente mito, niente gloria, solo isolamento, paura, e spesso una fine tragica. È questo il messaggio che ha voluto ribadire nell'intervista rilasciata sul truck di LaC nell’ambito del format itinerante “A tu per tu”, tracciando un bilancio delle attività svolte dalla Polizia di Stato sul territorio reggino.
«Dobbiamo raccontare la verità su questa gente – ha dichiarato La Rosa –. Questi soggetti, bene che vada, si fanno una vita di latitanza come i topi per sottrarsi alla cattura o addirittura a qualcuno che può sparargli dentro la loro stessa cerchia. Altrimenti, si fanno una vita di carcere. L'alternativa è questa: o la fuga o il carcere. Oppure finiscono ammazzati anche abbastanza giovani».
Un messaggio chiaro, netto, rivolto soprattutto ai giovani: «Questa è gente che non fa altro che intossicare la nostra società, e come tale va tenuta lontana. Deve essere lontana anche quella narrazione che li vede quasi come degli antieroi della legalità».
Violenza di genere: serve consapevolezza e cultura della denuncia
Accanto al contrasto alla criminalità organizzata, uno dei temi più urgenti per la Questura di Reggio Calabria è quello della violenza di genere, su cui – sottolinea La Rosa – serve un impegno concreto, ma anche una rivoluzione culturale.
«La violenza sulle donne è un problema complesso e diffuso. Abbiamo attivato un protocollo importante, “Chiama Angela”, con l’obiettivo di stimolare la denuncia e aiutare chi si trova in situazioni di pericolo».
Il Questore evidenzia, tuttavia, che esiste ancora una resistenza culturale, un’incapacità diffusa di riconoscere la violenza, soprattutto quella psicologica e verbale: «Non parliamo solo di botte. Ci sono rapporti tossici, fondati su sottomissione, controllo, paura. In questi casi è fondamentale reagire, ma serve anche sapere che esistono strumenti, strutture, case rifugio, enti pubblici e privati pronti a intervenire».
E aggiunge: «La consapevolezza è la prima arma. Bisogna spezzare la cultura del silenzio, quella che ha sempre messo l’uomo sul piedistallo e la donna in secondo piano. Serve una rivoluzione copernicana nella mentalità collettiva».
I crimini contro i più fragili: «Lo Stato deve esserci, sempre»
Nell’intervista, La Rosa ha posto l’accento anche sull’impegno delle forze dell’ordine nella tutela delle fasce più deboli: anziani, bambini, persone con disabilità, vittime di abusi e raggiri.
«Chi colpisce i più fragili non è solo un criminale, è qualcuno che mina le fondamenta etiche della nostra società. Per questo, ogni intervento, ogni denuncia, ogni atto investigativo ha un valore che va oltre il singolo caso: è un messaggio di presenza dello Stato».
Nel corso dell’incontro, è emersa una visione lucida e profonda delle sfide che attendono le istituzioni, ma anche una ferma determinazione: quella di continuare a lavorare per una società più giusta, più sicura e più consapevole. Conclude il Questore: «Sicurezza significa anche educazione, ascolto, prevenzione. E soprattutto, verità: dobbiamo avere il coraggio di dire le cose come stanno, senza edulcorazioni. Perché solo conoscendo la realtà possiamo cambiarla».