L’intelligenza artificiale non è una tecnologia di passaggio, ma una presenza destinata a incidere profondamente sulle nostre vite. A sostenerlo è il professore e avvocato Michele Filippelli, intervistato negli studi di LaC Network. «Non è più il tempo della paura, ma della prudenza e dello studio», afferma. L’occasione è il recente recepimento nell’ordinamento italiano del Regolamento europeo 1689, noto come AI Act, e della legge n. 132 del 2025, che disciplina l’uso dell’IA in ambiti chiave.

Il giurista calabrese spiega le implicazioni del nuovo AI Act e l’impatto delle tecnologie intelligenti su giustizia, medicina e professioni

Diritto, sanità, pubblica amministrazione

«La legge 132 del 23 settembre 2025, entrata in vigore il 10 ottobre, rappresenta un passo importante», spiega Filippelli. «L’intelligenza artificiale è già attiva in sanità con il deep learning, e può affiancare i medici in diagnosi, anamnesi e prognosi. Ma riguarda anche il diritto: l’articolo 15 riconosce al magistrato il potere di usare l’IA nell’interpretazione della legge, nella valutazione delle prove e nella redazione dei provvedimenti».

Uno degli ambiti più sensibili è proprio quello giudiziario. «L’IA non sostituisce il giudice, ma lo supporta. Come pure il lavoro di avvocati e pubblici ministeri. Non dimentichiamo, poi, il settore della pubblica amministrazione e delle professioni intellettuali, dove l’impatto sarà altrettanto rilevante».

«Non confondiamo paura e prudenza»

Secondo Filippelli, i timori sono comprensibili ma non giustificano l’inerzia. «L’essere umano è sempre stato affascinato dalla tecnologia. Ma oggi è il momento di capire e approfondire. L’IA sarà centrale nel nostro sviluppo, e le prossime generazioni vivranno un mondo radicalmente diverso. Non è una moda passeggera, è la quarta rivoluzione tecnologica, dopo la macchina a vapore, l’elettricità e il personal computer».

«Serve alfabetizzazione digitale»

Un nodo cruciale è la formazione. «Serve un’alfabetizzazione specifica, fin dalle scuole. Il rapporto con l’IA è conversazionale, non meccanico: bisogna saper porre domande, valutare le risposte e distinguere tra IA generaliste e verticalizzate».

«ChatGPT, ad esempio, è un’IA generativa, ma non è un motore di ricerca né una banca dati. L’errore più grande è confondere questi strumenti o usarli senza sapere cosa sono. OpenAI stessa ha chiarito che non si assume responsabilità per errori in campo giuridico: significa che serve prudenza e conoscenza».

Il ruolo degli avvocati: «Diventiamo deployer»

Anche il Consiglio Nazionale Forense si è espresso con cautela sull’uso dell’IA nella professione legale. Filippelli però guarda oltre: «La legge oggi impone all’avvocato di informare il cliente se utilizza IA, specificando il tipo. La dottrina inizia a interrogarsi su un punto diverso: e se fosse negligente l’avvocato che non la usa?».

«L’avvocato non è più solo un interprete del diritto, ma diventa un deployer: responsabile della formazione, dell’uso e della verifica delle risposte generate dall’IA. Siamo chiamati a un cambio di mentalità».

Il futuro: convivenza, non sostituzione

«Il futuro non è distopico: l’IA non rimpiazzerà i professionisti, ma si affiancherà a essi per migliorare i risultati», chiarisce. E cita esempi già attivi: «In Estonia c’è il giudice robot per il civile. In Cina il procuratore automatico e perfino un ospedale interamente basato sull’IA, l’Agent Hospital. In America esistono già studi legali virtuali. In Italia siamo in ritardo, ma dobbiamo correre».

In arrivo il libro «Sovranità in crisi»

Nel 2026 uscirà un nuovo saggio firmato da Filippelli, dal titolo Sovranità in crisi (Armando Curcio Editore). «Un’opera giuridica, filosofica e narrativa che ripercorre l’evoluzione dell’IA dalle origini della civiltà fino ad oggi. È il frutto di un lavoro decennale e spero possa offrire uno sguardo utile e accessibile».