Dopo l’esclusione dalla gita per un corto circuito burocratico la famiglia di Pasqualino non ci sta: «La pec era arrivata ma nessuno ha risposto, questa indifferenza fa male»
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«Verso mio figlio c’è stata una vera e propria discriminazione». È ancora amareggiato Saverio Genovese, il papà di Pasqualino, l’alunno affetto da grave disabilità a cui è stata negata una uscita didattica perché all’Asp di Reggio sarebbe stata ignorata la pec per autorizzare la presenza di un infermiere. Dalla sua casa di Monasterace la famiglia prova tutti i giorni a garantire al suo piccolo eroe una vita più normale possibile, con dignità e coraggio, in una quotidianità già complessa al netto della burocrazia lumaca.
«Abbiamo inviato una prima Pec lo scorso 23 aprile senza ricevere nessuna risposta – spiega Genovese – Poi con il nostro avvocato abbiamo proceduto a inoltrare un sollecito che purtroppo non ha ricevuto alcuna risposta, nè negativa né positiva. Qualche giorno dopo mi sono recato all’ufficio di Siderno e ho saputo che la mail era arrivata. Non so cosa pensare perché è una cosa incredibile che non ci sia stata una risposta».
Quando Saverio ne ha parlato con la maestra al telefono, Pasqualino sentendolo è scoppiato in lacrime. «Dopo che si è calmato abbiamo chiesto a Pasquale se comunque volesse andare lo stesso a scuola e ha detto di si – ha detto Saverio - perché si sente libero e ha una comunione forte con i suoi compagni. Quindi si sente come gli altri nonostante le sue difficoltà ed è sempre tenuto in considerazione e amato da tutti». Adesso i genitori pretendono quantomeno delle scuse: «Mi auguro che chi aveva il dovere di rispondere a quella mail si renda conto di quello che ha fatto, ma per Pasquale, vittima di una crudeltà indecente».
Al bambino e ai suoi genitori non è mancata tuttavia la solidarietà del mondo scolastico: «Anzi - racconta la mamma Serena - sono stata rimproverata dalle mamme perché avrebbero voluto sapere ed erano disposte a non mandare i loro figli a scuola in segno di protesta insieme a noi. Prima alle uscite scolastiche lo accompagnavo io. Adesso ha 10 anni e ha voglia pure lui di indipendenza e questa indipendenza poteva avercela con il supporto dell’infermiera. Quello che fa male è il vuoto istituzionale, la mancanza di risposte».