Le feste riportano nelle città calabresi una generazione che ama la propria terra ma continua a cercare futuro altrove
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A Natale la Calabria cambia improvvisamente ritmo. Le stazioni ferroviarie tornano affollate, le strade si riempiono di auto, i bar dei centri storici riaprono fino a tarda sera. È il segnale più visibile del rientro dei giovani che durante l’anno vivono lontano: studenti universitari, lavoratori precari, professionisti costretti a cercare altrove ciò che qui non hanno trovato.
Il ritorno è sempre carico di emozione. C’è l’abbraccio con i genitori, il rito dei pranzi in famiglia, la sensazione di riappropriarsi di un tempo diverso, meno frenetico. Per molti giovani la Calabria resta il luogo degli affetti, dell’infanzia, delle prime scelte. Tornare a Natale significa riconnettersi con quella parte di sé che altrove resta in secondo piano.
Ma è un ritorno che porta con sé anche una consapevolezza amara: la ripartenza è già scritta. Il Natale è una parentesi, non una svolta. Le valigie restano pronte, i biglietti di ritorno già acquistati. La permanenza è breve, spesso compressa tra un turno di lavoro e un esame universitario, tra ferie contate e contratti a tempo.
Nei piccoli comuni il rientro dei giovani ha un effetto quasi immediato. Le piazze si animano, i locali tornano a riempirsi, le strade sembrano improvvisamente vive. È come se il territorio mostrasse, per pochi giorni, una versione alternativa di sé: più giovane, più dinamica, più vitale. Ma è una vitalità effimera, destinata a spegnersi subito dopo le feste.
Molti giovani descrivono il loro rapporto con la Calabria come una relazione incompiuta. C’è amore, ma anche delusione. La mancanza di lavoro stabile, l’assenza di politiche per i giovani, la sensazione di dover sempre “arrangiarsi” spingono a guardare altrove. Partire non è un atto di rottura, ma una necessità. Restare, spesso, non è un’opzione realistica.
Il Natale diventa anche il tempo dei confronti familiari. Domande che si ripetono ogni anno: “Quando torni definitivamente?”, “Hai trovato qualcosa di stabile?”. Interrogativi che pesano, perché il ritorno non dipende solo dalla volontà personale, ma da un contesto che continua a offrire poche certezze. Molti giovani vorrebbero restare, ma non sanno come.
C’è poi un aspetto meno visibile, ma altrettanto rilevante: il senso di colpa. Quello di chi è andato via e sente di aver lasciato indietro la propria comunità. Di chi torna a Natale e percepisce il vuoto che si allarga nei paesi, anno dopo anno. Il ritorno è gioia, ma anche consapevolezza della perdita.
Eppure, il rientro natalizio dei giovani non è un semplice fatto folkloristico. È un segnale potente. Racconta una generazione che non ha spezzato il legame con la propria terra e che continua, nonostante tutto, a riconoscersi in essa. Trasformare questo ritorno ciclico in una presenza stabile è la vera sfida per il futuro della Calabria.
Finché non ci saranno condizioni concrete per farlo, il Natale resterà un ritorno necessario, emotivamente intenso, ma temporaneo. Un appuntamento fisso che ricorda quanto la distanza, più che una scelta, sia diventata una condizione.

