«La vita è sacra, sempre»: il presule di Cassano allo Jonio spiega perché una norma non basta senza risorse, cure palliative e una rete di assistenza che protegga chi soffre, evitando scorciatoie e scontri ideologici
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Il vescovo di Cassano allo Jonio Francesco Savino, pioniere dell’assistenza ai malati terminali e fondatore dell’hospice di Bitonto, accoglie con sentimenti contrastanti il dibattito su una legge italiana sul fine vita. Da un lato speranza, perché «finalmente si torna a pronunciare parole che riguardano la dignità degli ultimi giorni di vita», dall’altro timore che il confronto pubblico si riduca a un bivio ideologico tra accanimento terapeutico e morte procurata. «Eppure, proprio lì, in quello spazio intermedio e vitale, pulsa la ricchezza dell’umano».
Una legge è necessaria, ma da sola non basta
Savino, in un’intervista pubblicata oggi su La Stampa, è netto nel denunciare i limiti di una norma che resti sulla carta. «Una buona legge è necessaria, ma da sola non è sufficiente», afferma. «Senza una adeguata pianificazione finanziaria, organizzativa e formativa, rischia di rimanere un esercizio astratto». La legge, per avere effetti concreti, deve essere accompagnata da risorse, personale qualificato, reti territoriali di assistenza, e da una visione integrata che tenga insieme sanità, relazioni, spiritualità e supporto sociale.
L’arte della cura e della prossimità
«Non esiste una morte “dolce” che si possa somministrare, ma esiste una vita che può essere dolcemente accompagnata fino alla fine», racconta Savino, forte della sua esperienza accanto ai malati terminali. Per il vescovo, la sofferenza non va rimossa ma umanizzata. «Ogni essere umano è portatore di una dignità inalienabile. Nessuno domanda davvero di morire, se si sente amato, riconosciuto, accompagnato».
Le cure palliative come risposta alla deriva eutanasica
Le cure palliative, per Savino, non sono solo un’alternativa all’eutanasia, ma una risposta profondamente umana. «Sono un dovere civile, morale e spirituale. Un argine alla cultura della morte mascherata da libertà». Non si tratta di «lasciar morire» né di «prolungare artificialmente», ma di sostenere senza accanimento e senza abbandono. Quando esiste una medicina della prossimità, «la domanda di eutanasia si affievolisce, spesso scompare».
I rischi di una scorciatoia normativa
Savino esprime preoccupazione per le Regioni che stanno già attuando protocolli per il suicidio assistito, seguendo la sentenza della Corte costituzionale. «La vita umana è inviolabile e sacra, dal concepimento fino al suo termine naturale», ricorda. Una normativa accelerata senza un vero confronto etico e culturale «avviene però senza un confronto profondo sul senso del morire e del prendersi cura».
La “terza via”: sollievo del dolore e giustizia sociale
La vera alternativa a eutanasia e accanimento terapeutico, secondo Savino, è il «sollievo globale del dolore». «Tra l’illusione di una medicina onnipotente e la scorciatoia dell’interruzione volontaria della vita, si apre il cammino della cura che si fa presenza». Ma nessuna norma può avere efficacia se non è accompagnata da un investimento stabile nella rete delle cure palliative. «Non c’è dignità nella fine della vita senza giustizia nella distribuzione delle risorse».
Un tema che non può essere ridotto a scontro politico
Il vescovo Savino invita a superare le divisioni ideologiche: «Qui non si tratta di destra o sinistra, ma di umanità». La Chiesa, assicura, non impone visioni ma «propone un’alleanza tra credenti e non credenti». È possibile essere laici e difendere il diritto a una morte accompagnata, come essere credenti e dialogare con chi ha visioni differenti.
Verso una legge giusta, non solo buona
Infine, Savino sottolinea che «una buona legge è il punto di partenza, ma serve una legge giusta». Una norma condivisa, frutto di confronto ampio, che tenga conto di scienza, coscienza, sensibilità sociale ed etica. Solo così, conclude, «possiamo costruire un sistema capace di non lasciare indietro nessuno, in particolare i più fragili, i poveri, chi non ha voce».