In un mondo dove le immagini di sofferenza ci giungono giungono attraverso schermi lontani, la Global Sumud Flotilla emerge come un'impresa umanitaria come un gesto profondamente antropologico, cioè il richiamo primordiale alla dignità umana, alla capacità di resistere all'oblio e di rivendicare lo spazio del "vivere insieme" in un'era di confini armati e blocchi letali. Mentre le oltre 50 imbarcazioni della flottiglia – con circa 500 attivisti da 46 paesi, tra cui medici, parlamentari, giornalisti e figure come Greta Thunberg – navigano a sole 69 miglia nautiche dalla costa di Gaza, affrontando droni turchi in sorveglianza, navi da guerra israeliane che bloccano le comunicazioni e un'imminente intercettazione, è impossibile non interrogarsi sul significato più profondo di questo viaggio. Non si tratta solo di cibo e medicine – 500 tonnellate simboliche di aiuti per una Gaza affamata, dove l'Onu ha dichiarato la carestia lo scorso mese – ma si tratta di un atto di "sumud", cioè di resistenza araba che sfida la cancellazione di un popolo.

Su un piano antropologico, la flottiglia richiama le narrazioni fondative dell'umanità. Pensiamo, per esempio, ai grandi viaggi epici, dalle migrazioni preistoriche alle odissee collettive che hanno forgiato le identità culturali. Clifford Geertz parlava di "culture come testi" da interpretare, e qui la Sumud Flotilla è un testo vivente, scritto sul mare. Gli attivisti, 56 turchi, 49 spagnoli, 48 italiani, 33 francesi, e presenze da Tunisia, Malesia, Grecia, Usa e oltre, incarnano un'etica della solidarietà transnazionale, un "noi" che trascende le nazionalità per opporsi all'individualismo neoliberale e al nazionalismo esclusivo. In acque internazionali, dove il diritto marittimo che secondo la Convenzione Onu del 1982 garantisce la libertà di navigazione, questa carovana di civili sfida il blocco navale israeliano, in vigore dal 2007 e dichiarato illegale da esperti ONU già nel 2024. Si tratta di un rituale moderno di resistenza, simile ai riti di passaggio delle società indigene. Diretto un attraversamento del “limen”, lo spazio di crisi descritto da Arnold van Gennep, dove il corpo collettivo si espone al pericolo per rigenerare il senso di umanità condivisa.

I dati reali di questa missione dipingono un quadro di urgenza e di precarietà. La flottiglia, partita il 31 agosto da Barcellona e unita da imbarcazioni tunisine, maltesi e siciliane, ha già subito attacchi: il 25 settembre, droni non identificati (accusati dagli organizzatori di essere israeliani) hanno colpito vascelli al largo di Creta con granate stordenti e irritanti, causando danni ma non feriti. L'Italia ha schierato una fregata per monitorare, seguita da navi spagnole e greche, ma il 30 settembre Roma ha annunciato il ritiro, lasciando la carovana vulnerabile a un raggio di 150 miglia da Gaza, zona "ad alto rischio" per intercettazioni passate. In giugno, la Madleen – con Thunberg e l'eurodeputata francese Rima Hassan – è stata sequestrata a 185 km dalla costa, con 12 passeggeri detenuti e deportati ad Ashdod. A luglio, la Handala ha subito sabotaggi pre-partenza, inclusa una corda al motore e acido solforico su un camion di rifornimenti. Eppure, la Sumud continua: i radar mostrano tre droni turchi dalla base di Corlu che sorvolano da tre giorni, mentre navi israeliane hanno già bloccato trasmissioni su imbarcazioni come Alma e Sirius, con rapporti di abbordaggi in corso.

Questo non è mero attivismo "Instagram", come deriso da un portavoce israeliano dopo il sequestro della Madleen (il cui carico – formula per neonati, farina, riso, pannolini e protesi per bambini – era "meno di un camion"). È un'antropologia della vulnerabilità. A Gaza, dove dal 7 ottobre 2023 oltre 65.000 palestinesi sono stati uccisi, secondo i dati dell’Onu, migliaia sono sepolti sotto macerie e centinaia muoiono di fame, il blocco non è solo militare, ma è anche esistenziale. Esclude i gazawi dal "campo umano", concetto teorizzato da Giorgio Agamben, riducendoli a "nuda vita", corpi senza agency, invisibili al mondo. La flottiglia inverte questa logica. Gli attivisti, seduti in cerchio su Alma prima dell'abbordaggio (come mostrato in video live), cantano "Gaza, stiamo arrivando", evocando canti collettivi di comunità indigene che sfidano l'estinzione culturale. Thunberg, dal ponte, ha dichiarato che "Israele non è immune al diritto internazionale. Fermate il genocidio, l'occupazione, liberate la Palestina". È un grido che riecheggia l'etica kantiana della dignità incondizionata, applicata a un popolo assediato.

Ma qui emerge un paradosso antropologico. Mentre la flottiglia unisce, il potere la frammenta. Israele giustifica l'intercettazione come "legittima" contro Hamas, offrendo di trasferire gli aiuti via canali "sicuri" (rifiutati dagli organizzatori, che insistono sul diritto di approdo diretto). Eppure, l'Onu denuncia l'ostruzionismo sistematico: dal marzo 2025, l'80% degli aiuti è bloccato, con Israele che impone il Gaza Humanitarian Foundation, criticato come strumento di controllo. Governi come Italia e Spagna, pur riconoscendo Palestina, abbandonano la scorta per "evitare escalation", rivelando una "paura" del confronto – il timore di contaminarsi con la sofferenza altrui, come analizzato da René Girard nei meccanismi del capro espiatorio.

In questo senso, la Sumud Flotilla è, a mio avviso, un laboratorio antropologico vivente, che dimostra come l'umanità non è data, ma performata attraverso atti di coraggio collettivo. Se intercettata non fallirà: ha già esposto la finzione del blocco "umanitario", mobilitato migliaia in porti europei (da Catania a Bizerte) e costretto il Papa Leone a invocare "rispetto per la vita". Come il sumud palestinesequesta flottiglia ci ricorda che resistere non è follia, ma l'essenza dell'essere umano: tessere reti di empatia contro la barbarie dell'indifferenza.

Mentre le comunicazioni si interrompono e i motori ruggiscono verso Gaza, la domanda resta: quanto tempo impiegherà il mondo a riconoscere che il mare, come l'umanità, non tollera più barriere? La flottiglia non porta solo aiuti ma porta la prova che siamo ancora capaci di navigare verso l'altro, anche quando le onde sono in tempesta.

*Documentarista