Un Paese moderno si misura anche dalla semplicità con cui ti permette di vivere, lavorare, creare. L’Italia ha bisogno di una burocrazia alleata, non padrona. Perché non si può crescere se ogni idea deve passare da una fila infinita allo sportello
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Burocrazia (Ansa)
C’è un nemico invisibile, subdolo e onnipresente che accompagna ogni passo della vita quotidiana in Italia. Non ha volto, ma ha timbri. Non ha corpo, ma ha faldoni. Non ha cuore, ma ha regolamenti, circolari, codicilli. Si chiama burocrazia. E da decenni è la malattia cronica che soffoca ogni slancio di modernità, imprenditorialità e persino di buon senso.
Fare impresa in Italia è un atto di eroismo. Secondo il report della Banca Mondiale Doing Business, servono in media 238 giorni per ottenere un permesso edilizio. In Germania, ne bastano 126. Per aprire un’attività commerciale servono mediamente 65 adempimenti, tra comunicazioni, autorizzazioni e iscrizioni. Ma non è solo questione di tempo: è l’assurdità del processo a spiazzare. Ogni ufficio pretende una carta diversa, spesso in originale, raramente accetta il digitale, e comunque… “manca un timbro”.
Prendiamo il caso del signor Giovanni, 48 anni, artigiano in provincia di Catanzaro. Dopo mesi di trattative riesce finalmente ad acquistare un piccolo capannone per la sua attività. Ma scopre che per ottenere l’agibilità deve certificare che l’impianto idraulico rispetta una norma del 1976… mai abrogata. L’idraulico certificatore, però, è andato in pensione e non si trova un sostituto accreditato. Risultato? Capannone inutilizzabile per 9 mesi. Mutuo da pagare, attività ferma.
O ancora la vicenda, diventata quasi virale, di una signora di nome Maria della provincia di Reggio Calabria, che ha dovuto presentare il certificato di esistenza in vita per sé stessa, per continuare a ricevere la pensione. Il paradosso? Doveva spedirlo via posta all’Ufficio competente locale… mentre si era appena recata di persona allo sportello per chiedere spiegazioni.
E poi ci sono i giovani: una ragazza cosentina, laureata con lode in una università romana, voleva fare l’insegnante. Tutti i titoli in regola, ma la sua domanda viene respinta perché la sua laurea è “telematica” e manca una circolare applicativa. Risultato: un altro anno a casa, in attesa che qualche dirigente ministeriale decida che sì, il digitale esiste anche in Italia.
Il problema della burocrazia non è solo fastidioso: è profondamente dannoso. Ogni passaggio inutile, ogni rallentamento, ogni documento duplicato è tempo tolto al lavoro, al pensiero, all’innovazione. L’Italia perde miliardi ogni anno in produttività e competitività a causa di questo mostro tentacolare. E il paradosso è che, nel tentativo di semplificare, ogni governo ha prodotto nuove norme, nuove piattaforme, nuovi enti… aumentando la confusione.
Nel 2024, un imprenditore del settore edilizio ha raccontato di aver ricevuto sei PEC diverse da enti pubblici che comunicavano lo stesso identico contenuto, ma con diciture differenti. «Temevo fosse un errore», ha detto, «ma era tutto perfettamente regolare. Il sistema funziona così: male, ma funziona».
La digitalizzazione è stata vista come la panacea. SPID, CIE, fascicolo sanitario elettronico, app IO… Sì, strumenti utili, ma spesso calati dall’alto senza un vero piano d’integrazione. I portali online sono spesso non comunicanti tra loro, e comunque i documenti digitali vanno poi stampati, firmati a penna, scansionati e reinviati. Il cartaceo si ripresenta come un fantasma. E intanto i cittadini diventano, loro malgrado, esperti di sigle e acronimi.
Dietro tutto questo non ci sono solo pratiche e carte. Ci sono frustrazione, senso di impotenza, perdita di fiducia. Chi vuole fare, in Italia, spesso deve prima imparare a chiedere permesso – e accettare l’idea che il sistema non ti aiuta, ti ostacola. È per questo che l’energia migliore del Paese spesso si consuma nel tentativo di aggirare l’ostacolo, piuttosto che superarlo.
«La burocrazia è come un labirinto: non serve correre, serve conoscere il custode della porta giusta». Una battuta amara che gira tra imprenditori e professionisti. Ma non dovrebbe essere così. Un Paese moderno si misura anche dalla semplicità con cui ti permette di vivere, lavorare, creare. L’Italia ha bisogno di una burocrazia alleata, non padrona. Perché non si può innovare, crescere, sognare, se ogni idea deve prima fare una fila infinita allo sportello.
*Con il contributo esterno di Luca Capalbo, Bruno Mirante ed Ernesto Mastroianni