Il progetto PRIN “Telling the Territory” indaga la produzione documentaria calabrese e pugliese nel periodo 1974-2004, restituendo valore storico e culturale alle voci del piccolo schermo d’inchiesta: appuntamento il 22 e 23 ottobre alla Biblioteca Tarantelli
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In un’epoca sommersa da un’onda incessante di immagini digitali, riscoprire gli archivi dimenticati delle televisioni locali meridionali rappresenta un atto di resistenza culturale e un viaggio appassionato nelle radici di una narrazione autentica e sfaccettata. È lo spirito ambizioso del progetto PRIN “Telling the Territory. The documentary production of local television broadcasters in Calabria and Apulia (1974-2004)”, coordinato dal Principal Investigator Daniele Dottorini del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (DiSPeS) dell’Università della Calabria.
Questa ricerca epica esplora come il piccolo schermo, nelle mani di emittenti locali pubbliche e private, abbia catturato l’essenza pulsante di Calabria e Puglia, trasformando il territorio in un protagonista vivo e contraddittorio.
Il periodo selezionato – dal 1974 al 2004 – non è casuale, ma abbraccia la rivoluzione televisiva italiana, dall’ascesa delle TV private dopo la deregulation che ha infranto il monopolio RAI, fino all’emergere dei canali regionali pubblici e alla legislazione del 2004, che ha ridisegnato il panorama mediatico con norme più stringenti e l’inizio della digitalizzazione. In Puglia e Calabria, queste emittenti non si limitavano a diffondere notizie, ma producevano documentari, speciali e approfondimenti che penetravano la vita quotidiana, ritraendo un Sud in fermento, tra aspirazioni di modernità e ombre persistenti. Schermi che illuminavano salotti calabresi e pugliesi trasmettevano storie di terre aride e mari ribelli, feste patronali e lotte operaie, in un dialogo intimo tra broadcaster e comunità.
Al timone di questo progetto visionario, con un approccio interdisciplinare che intreccia analisi filmica e studi territoriali, ci sono Daniele Dottorini e Luca Bandirali, esperti di cinema e media, appassionati di archivi e riuso delle immagini. Tra i collaboratori chiave in Calabria, oltre al sottoscritto, spiccano Patrizia Fantozzi, assegnista di ricerca, e Antonio Martino, regista e documentarista, che apportano competenze in catalogazione, analisi socio-culturale e produzione audiovisiva, creando una rete di expertise che rende il progetto un modello di collaborazione accademica.
Le fasi del lavoro procedono con rigore e creatività. Si inizia con la meticolosa catalogazione e ricostruzione di archivi di TV dismesse o trasformate, inclusi documentari inediti, organizzati in temi evocativi come “Forme di vita” – che esplora ritratti umani, mestieri tradizionali e dinamiche familiari – e “Spazi e tempi” – dedicato a paesaggi mutevoli, urbanizzazioni forzate e cicli stagionali. Segue un’analisi formale e produttiva, che disseziona linguaggi visivi, tecniche di ripresa e contesti economici delle emittenti, rivelando innovazioni nel documentario televisivo italiano. Gli output non sono solo tomi accademici: includono convegni e giornate di studio per dibattiti vivaci, testi collettivi che intrecciano teoria e testimonianze, e nuovi documentari ibridi forgiati dal materiale d’archivio, per restituire al pubblico contemporaneo queste voci perdute.
In questo contesto, la Calabria emerge come cuore pulsante e controverso del progetto. Negli anni ’70-’90, la regione ha sviluppato un sistema televisivo complesso, dominato da un privato vivace accanto a presenze pubbliche come la sperimentale della terza rete RAI. Emittenti come, ad esempio Telespazio, Video Calabria, Tele Cosenza e Telereggio non si limitavano a informare ma rappresentavano una regione stratificata, dove ‘ndrangheta e criminalità organizzata si intrecciavano con povertà endemica, emigrazione forzata e resistenze eroiche. Documentari su ‘ndrine potenti, terre confiscate, scioperi operai e rituali arcaici dipingevano un territorio di contraddizioni – la bellezza aspra dell’Aspromonte contro lo sfruttamento agricolo, la vitalità delle piazze contro il silenzio mafioso. Questo mediatico privato, spesso precario e legato a logiche locali, ha offerto uno specchio impietoso, catturando complessità socio-culturali ignorate dai network nazionali: povertà rurale, infiltrazioni mafiose, ma anche resistenza comunitaria, innovazioni contadine e fermenti culturali che anticipavano la globalizzazione.
“Telling the Territory” non è mera archeologia mediatica, ma un invito, direi anche urgente, a ripensare il patrimonio audiovisivo come bene comune, uno strumento per comprendere come il Sud abbia narrato se stesso in un’Italia in trasformazione. In un mondo di streaming omogenei, questo PRIN ci ricorda che le vere storie nascono dal territorio, dalle antenne paraboliche che un tempo collegavano villaggi isolati al sogno collettivo. Studiarlo e divulgarlo significa rivivere quell’energia: un Sud che parla, resiste e ispira, illuminando non solo gli studiosi, ma tutti noi eredi di quelle immagini indimenticabili.
*Documentarista