Si chiude, con la terza puntata, la nostra indagine sulla comunità cinese in Italia. Qui e qui potete leggere la prima e la seconda parte. 

La «mafia cinese» non è un unico gruppo, ma un insieme fluido di network: dalle tradizionali triadi ai gruppi di origine continentale, dalle gang di sfruttamento alle reti di snakeheads che contrabbandano persone. Questa multiformità rende difficile tracciare i confini tra criminalità “etnica” e attività economiche grigie.

In Italia, e in particolare a Prato, hub tessile europeo, l’infiltrazione criminale è in aumento. Vi sono aziende che sfruttano lavoratori stranieri, catene di subappalti che evadono il fisco e, secondo le indagini, i clan ricorrono a intimidazioni, incendi e violenza per controllare mercato e logistica. La cosiddetta «guerra degli appendini» ha portato a omicidi e indagini giudiziarie su vasta scala.

Il modello operativo è duplice: reti orizzontali di micro-officine, import-export parallelo e servizi informali che mimetizzano profitti, e capacità transnazionale e tecnologica, con canali finanziari poco tracciati e strumenti digitali avanzati, che rendono difficile sequestrare i capitali. Questo trasforma il lavoro nero in rischio sistemico per legalità e sicurezza economica.

I pericoli immediati sono concreti: sfruttamento e tratta di persone, concorrenza criminale per i flussi logistici, infiltrazioni nei circuiti commerciali legali e riciclaggio. A questo si aggiunge il danno sociale: comunità immigrate silenziose, imprese oneste in difficoltà e mercato del lavoro degradato.

Le operazioni di polizia dimostrano che lo Stato può colpire i vertici, ma la resilienza del sistema irregolare richiede interventi strutturali. Servono più controlli sulla filiera, azioni mirate contro il riciclaggio, canali di denuncia sicuri per i lavoratori, cooperazione europea e intelligence economica.

Infine, una politica industriale efficace può ridurre lo sfruttamento: trasparenza nei contratti, incentivi alle aziende virtuose e misure che ristabiliscano la competitività senza abbassare gli standard. Contrastare la «mafia cinese» in Italia significa combinare repressione giudiziaria e riforme economiche: il fenomeno è tanto criminale quanto strutturale.