Con la morte di Pippo Baudo non scompare soltanto il più grande presentatore della televisione italiana: si spegne un testimone di un’Italia che ha saputo riconoscersi nello spettacolo, ma soprattutto nella parola e nel gesto di chi dava senso al racconto collettivo. Baudo non era un conduttore nel senso banale del termine, un semplice regista della diretta. Era, piuttosto, un mediatore tra il pubblico e il palcoscenico, un uomo capace di mettere ordine nella confusione del varietà, di fare del disordine delle emozioni una narrazione chiara e condivisa.

La sua forza non risiedeva nelle battute, nel glamour o nel tecnicismo televisivo, ma nell’autorevolezza naturale con cui sapeva dire: “Guardate, questo è importante”. Ogni suo gesto, dai Festival di Sanremo alle maratone benefiche, era un atto di fiducia nell’intelligenza del pubblico. Pippo non accorciava le distanze tra artista e spettatore con la complicità finta del sorriso, ma con il rispetto: rispetto per il lavoro, per il talento, per la dignità di chi saliva su un palco e per quella di chi restava a casa, davanti a un televisore.

Per decenni la televisione italiana è stata anche scuola: di lingua, di gusto, di apertura al nuovo. Baudo è stato uno dei maestri di questa scuola. Il suo talento era quello del “padrone di casa” che non soffoca, ma accoglie. Non si è mai limitato a introdurre un cantante o un attore: li ha sempre “presentati” nel senso più profondo del termine, cioè resi presenti, consegnati alla memoria di milioni di italiani.

La sua lezione è che la televisione può essere alta senza essere elitista, popolare senza scadere nella volgarità. Che cosa ci resta di Pippo Baudo? Non tanto il ricordo di serate televisive o di gag celebri. Resta la convinzione che un mezzo potente come la tv possa avere un’anima etica, un compito civile. In un’epoca di intrattenimento usa e getta, lui ci ha insegnato la pazienza della costruzione, il rispetto dei tempi, l’arte del racconto lungo. Ci ha insegnato che il conduttore non deve essere più grande dello spettacolo, ma nemmeno ridursi a un semplice megafono: deve diventare garante, custode, interprete.

Ricordare Baudo, oggi, significa domandarsi se abbiamo ancora bisogno di figure capaci di unire, di dare coerenza a un racconto collettivo. La sua eredità non sta solo nei format o nelle edizioni record di Sanremo, ma nell’idea che la televisione, come ogni forma di cultura, può e deve servire a costruire comunità. Pippo ci lascia con un compito: non ridurre la tv a rumore, ma restituirle la sua funzione di specchio, di incontro, di civiltà.