Commercio, sanità, servizi essenziali: c’è anche una Calabria che non si ferma e parla di lavoratori spesso invisibili, tra turni, precarietà e dignità silenziosa
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C’è un Natale che scorre in parallelo a quello delle tavole imbandite e degli auguri scambiati in famiglia. È il Natale di chi lavora. In Calabria, come nel resto del Paese, il 25 dicembre non è una festa per tutti. È un turno, spesso lungo, spesso mal retribuito, quasi sempre dato per scontato.
Dietro una cassa del supermercato, in farmacia, in ospedale, nei servizi di emergenza, nei trasporti, nei bar e nelle aree di servizio, migliaia di lavoratori passano il Natale garantendo la normalità agli altri. Sorridono, augurano buone feste, incassano, servono, curano. Poi tornano a casa stanchi, quando le luci sono già spente.
Nel commercio il Natale coincide con il periodo di maggiore intensità lavorativa. Turni prolungati, orari spezzati, spesso senza la possibilità di scegliere. Molti lavoratori sono giovani, donne, precari. Contratti a termine, part-time involontari, paghe che non compensano il sacrificio di lavorare nei giorni festivi. Il Natale, per loro, è il momento in cui la distanza tra la retorica delle feste e la realtà del lavoro si fa più evidente.
C’è poi il Natale di chi lavora nella sanità. Medici, infermieri, operatori socio-sanitari che trascorrono le festività in corsia, accanto a chi è ricoverato e non può tornare a casa. Per loro il 25 dicembre è un giorno come gli altri, con la differenza che il carico emotivo è maggiore. C’è chi cerca di portare un sorriso, chi addobba un reparto, chi condivide un caffè con i pazienti. Gesti piccoli, ma fondamentali.
Anche i servizi essenziali non si fermano. Forze dell’ordine, vigili del fuoco, addetti alla raccolta dei rifiuti, trasporti pubblici. Lavoratori che garantiscono sicurezza e funzionamento mentre il resto del Paese si concede una pausa. Spesso il loro lavoro passa inosservato, perché è considerato “normale”, quasi dovuto.
In Calabria, dove il lavoro è spesso fragile e mal tutelato, il Natale al lavoro assume un significato ancora più forte. Per molti non è una scelta, ma una necessità. Rinunciare al turno significa rinunciare a una parte di stipendio, o rischiare di non vedersi rinnovare il contratto. La festa diventa un lusso.
Eppure, in questo Natale lavorato c’è anche una dignità silenziosa. C’è chi trova comunque il tempo per una telefonata a casa, chi anticipa o posticipa il pranzo, chi festeggia il giorno dopo. È un adattamento continuo, che racconta una capacità di resistenza spesso ignorata.
Raccontare il Natale di chi lavora significa rompere una narrazione incompleta. Significa ricordare che dietro ogni servizio garantito c’è una persona che ha rinunciato a qualcosa. E che la vera misura di una comunità si vede anche da come riconosce chi tiene accese le luci mentre gli altri festeggiano.

