Il 16 ottobre 2005 la ‘ndrangheta uccise a Locri il consigliere regionale in un seggio delle primarie. Da quel delitto nacque una mobilitazione di giovani che scosse la coscienza del Paese. Una storia che ancora oggi scuote le coscienze e aspetta risposte sui rapporti tra clan e politica
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Franco Fortugno fu assassinato il 16 ottobre 2005 in pieno giorno davanti a un seggio elettorale a Locri. Era il momento “storico” delle prime primarie del centro sinistra che avrebbero incoronato Romano Prodi, che sarebbe poi diventato presidente del Consiglio di un governo dalle mille aspettative che invece naufragò in 18 mesi!
"L’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale Franco Fortugno. Con cinque colpi di pistola uccisero un medico stimato e apprezzato, un esponente della Cisl, un uomo politico buono e onesto, noto per le denunce sulla penetrazione della ‘ndrangheta nella sanità pubblica. Ci voleva molto coraggio, in quel momento grave per la Calabria e la locride assediate dalla mafia, schierarsi apertamente contro le cosche. Fortugno lo fece, e venne ammazzato".
Un omicidio che scosse la città di Locri e aprì una ferita che avrebbe segnato la politica calabrese per anni. E che scosse tutta l’Italia. L’attacco mafioso era anche una sfida alle istituzioni. Alla regione dove si era insediata la giunta guidata da Agazio Loiero che aveva come obiettivo quello di dare risposte fortissime alla Calabria e di combattere le infiltrazioni mafiose.
Tre giorni dopo, proprio mentre si tenevano i funerali di Fortugno, un gruppo di giovani realizzò uno striscione che avrebbe segnato per sempre quel momento: “E adesso ammazzateci tutti”. Non era una minaccia, ma una sfida alla mafia direttamente: era la volontà dei ragazzi di rompere l’omertà, di lottare contro i muri complicità e silenzi che avevano invaso la società calabrese. In quel momento nacque il movimento «Ammazzateci tutti», promosso e guidato da Aldo V. Pecora e composto in gran parte da studenti e giovani della provincia di Reggio Calabria — i cosiddetti “ragazzi di Locri”.
E che per anni agitò le acque della politica e della società. Quel grido di dolore si trasformò presto in mobilitazione civile, in campagne di informazione e in proposte per affermare la cultura della legalità. L’Ulivo di Prodi, tutta la sinistra italiana, erano chiamati a portare avanti una battaglia politica e parlamentare per dare risposte a quei ragazzi.
Al funerale intervennero le più alte cariche dello Stato. Partecipò direttamente il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che apparve commosso e provato dal tragico evento. Sei anni dopo, il 3 ottobre 2012 la Cassazione ha confermato l’ergastolo ai responsabili dell’assassinio di Fortugno, tutti appartenenti alla famiglia dei Marcianò di Locri.
Quello che accadde a Locri nel 2006 racconta da una parte la capacità e la forza della ‘ndrangheta di uccidere con facilità chi osava combatterla (gli inquirenti parlarono del forte interessamento delle cosche nelle gare d’appalto e nelle nomine sanitarie, ed erano questi i campi che avevano attirato l’attenzione di Franco Fortugno); dall’altra, la risposta di una generazione di ragazzi che rifiutò la rassegnazione e chiese a gran voce trasparenza, legalità e verità.
La giustizia fece il suo corso e le condanne arrivarono negli anni, ma la questione del “terzo livello”, i collegamenti tra clan e politica, rimangono un nodo delicatissimo che ancora oggi appare irrisolto. Le infiltrazioni mafiose, la corruzione, gli intrecci perversi caratterizzano ancora oggi una parte del sistema politico-istituzionale della Calabria.
Per molti a Locri e in Calabria il movimento dei ragazzi di "Ammazzateci tutti” rappresentò la prima rivolta sociale contro il potere mafioso, la denuncia pubblica e la speranza del cambiamento. Il giovanissimo Aldo Pecora, figura emblematica del movimento, seppe trasformare la rabbia in linguaggio civile e politico: non solo slogan, ma azioni concrete di legalità.
Ricordare Fortugno oggi significa non solo commemorare una vittima della ‘ndrangheta, ma riaffermare ogni giorno la responsabilità collettiva di contrastare la corruzione e l’illegalità — perché, come gridarono allora i giovani di Locri, la paura può diventare coraggio soltanto se si trasforma in impegno civile.