Un confronto tra istituzioni, magistratura e mondo del sociale per riflettere sul ruolo dell’agricoltura come strumento di inclusione e reinserimento. È stato questo il tema al centro della tavola rotonda “Mettiamoci alla prova... in campagna”, promossa dall’associazione La Goccia in collaborazione con la Procura della Repubblica di Vibo Valentia.

L’iniziativa, moderata da Michele Napolitano, presidente dell’associazione, ha visto la partecipazione di esponenti del sistema giudiziario, delle forze dell’ordine e del volontariato. Tra i relatori: Teresa Chiodo, presidente del Tribunale per i minorenni di Catanzaro, il procuratore di Vibo Valentia Camillo Falvo, il questore Rodolfo Ruperti, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Vibo Francesco De Luca, la dirigente Uepe di Reggio Calabria Marianna Passalacqua e monsignor Giuseppe Fiorillo, cofondatore dell’associazione promotrice.

A Vibo Valentia la tavola rotonda dal titolo "Mettiamoci alla prova... in campagna", promossa dall’Associazione La Goccia in collaborazione con la Procura della Repubblica di Vibo Valentia. Al centro dell’incontro, il ruolo dell’agricoltura sociale nei percorsi di accoglienza e reinserimento di minori e adulti sottoposti a misure alternative come la messa alla prova.

Fiore all’occhiello dell’esperienza illustrata è la Fattoria sociale e didattica “Junceum”, gestita da La Goccia, dove da anni si sperimenta un modello virtuoso di accoglienza e reinserimento. Nella struttura, immersa nella natura, trovano spazio disabili, detenuti in regime di semilibertà e minori coinvolti in procedimenti penali, impegnati in attività agricole e di cura dell’ambiente.

«Il Tribunale per i minorenni di Catanzaro è stato tra i primi in Italia a credere nella giustizia riparativa – ha spiegato la presidente Teresa Chiodo –. Già dal 1997 abbiamo avviato un ufficio di mediazione penale, pilastro fondamentale della messa alla prova, un percorso di riconciliazione con la persona offesa e di riparazione simbolica del reato».

Chiodo ha ricordato come proprio a Catanzaro sia stato sperimentato per la prima volta in Italia un percorso di messa alla prova per un caso di omicidio commesso da un minorenne. «All’epoca fu una scelta innovativa e anche coraggiosa – ha aggiunto –. Da allora abbiamo realizzato oltre 2500 percorsi di mediazione con un tasso di recidiva molto basso, attorno al 3-4%. È un risultato che dà valore al nostro lavoro».

La presidente ha poi sottolineato l’importanza del sostegno del territorio: «Lo Stato da solo non può fare tutto. Sono fondamentali il volontariato e le agenzie locali: luoghi come questo, che trasmettono ai ragazzi il senso del lavoro, della condivisione e della bellezza. Spesso provengono da famiglie segnate da degrado e povertà. Vivere e lavorare in un ambiente curato lascia in loro un segno profondo».

Sulla stessa linea il procuratore Camillo Falvo, che ha rimarcato il valore della messa alla prova anche per il territorio vibonese: «È un’occasione per valorizzare un istituto ancora poco utilizzato – ha detto –. Qui viene applicato in una realtà accogliente, che ospita ragazzi e adulti che hanno sbagliato, ma che possono rieducarsi e riabilitarsi. È questa la vera funzione della pena».

Falvo ha evidenziato anche i benefici sul sistema giudiziario: «La messa alla prova contribuisce a ridurre il sovraffollamento carcerario e a deflazionare i procedimenti, perché consente di intervenire già nella fase delle indagini».

Infine, un richiamo al valore umano di questi percorsi: «Riabilitarsi in un luogo come questo è più facile – ha concluso Falvo –. Lavorare all’aperto, a contatto con la natura e gli animali, aiuta i ragazzi a ritrovare sé stessi molto più che in un ufficio. Le esperienze positive che vediamo qui ne sono la prova».