Oggi l’Italia si ferma. Non per un atto politico, non per un evento sportivo, ma per rendere omaggio a un uomo che ha incarnato per decenni l’anima stessa della televisione: Pippo Baudo. Con lui se ne va non solo un presentatore, ma l’ultimo custode di un’epoca che ha dato forma al volto e alla voce dell’Italia repubblicana.

I funerali si terranno oggi pomeriggio, alle ore 16, nel Duomo di San Nicolò a Militello in Val di Catania, la città natale a cui Baudo è rimasto legato per tutta la vita. Saranno trasmessi in diretta da Rai 1 e Rai Cultura, con collegamenti e speciali già dalla mattinata. Migliaia di persone sono attese: per questo il sindaco di Militello, Giovanni Burtone, ha predisposto maxischermi nelle piazze principali e un servizio navetta straordinario per permettere ai fan, giunti da tutta Italia, di partecipare a quello che si annuncia come un vero rito collettivo.

Baudo non è stato soltanto un conduttore: è stato un narratore collettivo, capace di accompagnare il Paese lungo un cammino di trasformazioni profonde. Nelle sue trasmissioni, dall’intrattenimento più leggero alle serate del Festival di Sanremo, si rifletteva lo spirito mutevole di un’Italia che, dagli anni Sessanta in avanti, passava dalla povertà del dopoguerra al benessere del boom economico, dalle certezze ingessate della provincia al fermento della modernità.

La sua televisione non era mai soltanto spettacolo, era anche spettacolo, ma era soprattutto scuola di educazione sentimentale, linguaggio comune, specchio delle nostre gioie e delle nostre contraddizioni. Con un gesto della mano, con un sorriso, con un richiamo paterno al pubblico, Baudo faceva sentire, l’Italia intera, parte di una grande famiglia radunata davanti allo schermo. Ha dato voce a generazioni di artisti, lanciato carriere, aperto palcoscenici a talenti che senza di lui forse sarebbero rimasti nell’ombra.

Il suo modo di condurre era insieme solenne e popolare, elegante ma mai distante. Pippo parlava agli italiani non dall’alto, ma al loro fianco, condividendo emozioni e sorprese. Era il mediatore tra l’artista e lo spettatore, tra il sogno e la quotidianità, tra l’Italia che voleva crescere e quella che temeva di perdere sé stessa.

Non si può parlare di lui senza parlare del Paese: perché Baudo è stato una coscienza collettiva, un testimone discreto e autorevole del nostro cambiamento. Ha attraversato scandali, rivoluzioni di costume, mutamenti tecnologici, senza mai perdere la fiducia nel mezzo televisivo come strumento di comunità. Mentre tutto cambiava – la società, i linguaggi, i consumi – Pippo restava un punto fermo, l’uomo che dava sicurezza.

Oggi che l’Italia lo saluta per l’ultima volta, il vuoto che lascia non è solo televisivo. È un vuoto simbolico: la fine di un’epoca in cui la tv non era frammento, ma rito condiviso. Con Baudo si chiude il sipario su un tempo in cui davanti al televisore non si consumava soltanto svago, ma si costruiva identità.

E forse, più che un applauso, oggi merita gratitudine. Perché Pippo Baudo non ci ha solo intrattenuti: ci ha insegnato a riconoscerci come comunità, come popolo che, tra luci di scena e note di canzoni, imparava a specchiarsi in se stesso.