Lo showman torna a Roma per la camera ardente e parla con commozione del presentatore scomparso: «Era la televisione stessa. Ci ha insegnato senza volere insegnare»
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Rosario Fiorello non è uomo da cerimonie rituali. Eppure, al cospetto della camera ardente di Pippo Baudo, il suo solito guizzo si è piegato al raccoglimento. Tornato a Roma dalla Sardegna, dove si trovava in vacanza, il comico ha varcato le porte del Teatro delle Vittorie, sede storica di tante imprese televisive del presentatore. Per diversi minuti è rimasto immobile, in silenzio, davanti alla bara. Nessun gesto plateale, nessuna battuta a stemperare: solo il rispetto, profondo, di chi sa di trovarsi davanti a un gigante.
All’uscita, intercettato dai cronisti, ha rotto il silenzio con parole che hanno immediatamente fatto il giro delle redazioni. «Per noi siciliani sapere di essere siciliani come Pippo era un vanto e noi lo seguivamo più di altri, anche per Antenna Sicilia», ha esordito. Non un ricordo personale qualunque, ma un riconoscimento di appartenenza: Baudo come simbolo di orgoglio e riscatto, capace di rendere la Sicilia un punto di partenza, non una periferia dimenticata.
La voce di Fiorello si è incrinata più volte. «Non sento il peso della sua eredità: non sono io il suo erede. Non ho un aggettivo per dire cosa rappresenti per la tv italiana. La Rai gli deve moltissimo». Una frase che, pronunciata da chi da anni è considerato il volto più amato dello spettacolo, suona come una dichiarazione di impossibilità: nessuno può davvero prendere il posto di Baudo.
Poi l’immagine destinata a restare: «A Viale Mazzini dovrebbero sostituire la statua del cavallo con quella di Pippo, che ci ha insegnato tanto solo a guardarlo». Un paragone che rende chiaro quanto per Fiorello Baudo non fosse soltanto un maestro, ma l’incarnazione stessa della televisione pubblica, più rappresentativo di qualsiasi simbolo in bronzo.
Non è un caso che, di fronte al fiume di ricordi e celebrazioni, Fiorello abbia scelto di sottolineare l’essenza più autentica di Baudo: «Pippo era qualcosa di più dei 13 Sanremo, o delle centinaia di pagine di televisione scritte. Pippo era la televisione. Lui ha tracciato un solco in cui tutti siamo andati dietro a fare quella televisione fatta di grandi professionalità, ma anche genuina, che lasciava spazio all’umanità».
Un ricordo che abbraccia sia la dimensione tecnica sia quella umana. Perché Baudo non è stato soltanto un conduttore impeccabile, capace di reggere ore di diretta senza perdere mai il controllo, ma anche un uomo che sapeva accogliere, improvvisare, trasformare l’imprevisto in spettacolo. È questa, per Fiorello, la sua più grande lezione: «Ci ha insegnato senza volere insegnare».
Quelle parole pronunciate davanti al Teatro delle Vittorie hanno un valore che va oltre il ricordo personale. Sono la fotografia di un passaggio generazionale mai davvero avvenuto. Se Baudo era “la televisione”, come ammette Fiorello, oggi resta il vuoto di una guida che non c’è più. Lo showman lo ha detto con un interrogativo che suona come un testamento rovesciato: «Ora chi insegnerà ai giovani di oggi a fare la tv?».
Una domanda che tocca il cuore di un’industria in crisi di identità, fatta di format importati, di reality stanchi, di conduzioni sempre più simili tra loro. Baudo, nel bene e nel male, rappresentava l’idea di una televisione “all’italiana”, capace di coniugare spettacolo popolare e rigore professionale, show di massa e cultura. Con lui, l’intrattenimento era insieme scuola, laboratorio e specchio del Paese.
Per questo, più che l’ennesimo saluto di un collega, quello di Fiorello è sembrato un monito. Non basta contare le edizioni di Sanremo condotte o i programmi di successo: bisogna chiedersi chi oggi possa avere lo stesso peso simbolico, la stessa autorevolezza, la stessa capacità di insegnare senza mai volerlo fare. La sensazione è che nessuno possa davvero raccogliere quel testimone.
Così, nella penombra del Teatro delle Vittorie, la preghiera silenziosa di Fiorello davanti alla bara di Baudo è diventata una scena collettiva. Non solo il dolore di un artista per il maestro, ma il lutto di un’intera televisione che, con Pippo, saluta l’ultimo dei suoi padri fondatori.