Un fiume di persone in marcia nel capoluogo lombardo per chiedere lo stop alla guerra e denunciare l’assalto israeliano alla Flotilla. In prima fila studenti, sindacati, associazioni e politici. In città traffico paralizzato e trasporti in tilt
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Lo sciopero a Milano
È una marea compatta e rumorosa quella che sta attraversando Milano. Più di trentamila persone, secondo le prime stime, hanno invaso le strade per chiedere la fine della guerra a Gaza e per denunciare l’assalto israeliano alla Global Sumud Flotilla. La città si è svegliata blindata, ma la folla ha riempito piazza Oberdan e i bastioni di Porta Venezia con bandiere, striscioni, tamburi e cori che risuonano tra i palazzi.
La fotografia più nitida di questa mattina è lo spezzone studentesco: migliaia di ragazzi e ragazze delle scuole superiori e delle università, kefiah al collo e cartelli colorati, hanno aperto il corteo. Dietro di loro le sigle sindacali, la Cgil e la Cub in testa, e poi le maestre elementari, i lavoratori teatrali dell’Elfo Puccini con il loro striscione “Alziamo sipari, non muri”, e ancora i palestinesi d’Italia, le associazioni di base, i collettivi cittadini. Una fiumana che sembra non avere fine: mentre la testa del corteo è già in via Castel Morrone, più di un chilometro oltre, piazza Oberdan resta colma di manifestanti che ancora non hanno iniziato a muoversi.
La cronaca racconta di una città spaccata in due. In viale Regina Giovanna i binari del tram sono stati occupati, i convogli fermi mentre la gente marcia intonando “Bella ciao” e “Fischia il vento”, alternati a cori contro Israele: “Israele fascista, Stato terrorista”. Alcuni studenti portano cartelloni con le facce di Matteo Salvini e Giorgia Meloni definite “complici del genocidio”, e non manca chi ha tracciato sui manifesti la scritta “Gaza uguale Auschwitz”. È l’immagine di una rabbia generazionale che si mescola alla memoria della Resistenza.
Tra le bandiere rosse e quelle palestinesi spunta una grande vela bianca con la scritta Global Sumud Flotilla: un simbolo che ricorda la missione in mare e i suoi protagonisti ora fermati nei porti israeliani. In molti hanno le mani dipinte di rosso, impronte su cartelli e stoffe che vogliono simboleggiare il sangue dei civili palestinesi. Intanto agli altoparlanti rimbalzano le voci degli studenti di Fuori Registro, il coordinamento delle scuole milanesi: “Giorgia Meloni vattene!”, “Assassini, giù le mani dai bambini”.
Non è solo piazza e cori: la protesta ha travolto anche il mondo universitario. Alla Statale gli attivisti di Cambiare Rotta hanno bloccato gli accessi, impedendo l’ingresso a docenti e studenti. Altri collettivi hanno annunciato la sospensione delle lezioni allo Ied, per permettere la partecipazione al corteo. Un’ondata giovanile che si unisce alla presenza di sindacati, Emergency, delegazioni del Pd e associazioni pacifiste. In testa allo striscione principale si legge: “Palestina libera. Fermiamo la macchina bellica”.
Il colpo d’occhio è impressionante: studenti, genitori con i bambini per mano, donne velate, lavoratori in sciopero, anziani che hanno deciso di unirsi al corteo. Una città intera sembra essersi riversata in strada. Molti indossano la kefiah, altri sventolano bandiere palestinesi, altri ancora portano cartelli improvvisati. Dalla zona dei bastioni fino a Palestro e oltre, la colonna dei manifestanti è un fiume in piena.
I disagi non mancano. Atm ha comunicato che le metropolitane sono tutte aperte, ma diverse linee di tram e autobus sono state deviate. Sulla M2 i treni saltano la fermata di Lambrate, mentre in superficie i convogli restano bloccati in attesa che il corteo liberi i binari. Alla stazione Centrale la situazione è caotica: centinaia di treni cancellati o con ritardi che vanno dai venti minuti a oltre cinque ore. Disagi anche a Garibaldi e a Rogoredo, dove i tabelloni luminosi invitano i viaggiatori a rivolgersi all’assistenza clienti. Molti pendolari hanno scelto di rinunciare, mentre turisti e viaggiatori in partenza cercano taxi e auto private, senza successo: anche i tassisti oggi hanno incrociato le braccia.
Sul piano politico, la manifestazione di Milano ha assunto un valore nazionale. Dalle piazze lombarde arrivano messaggi che rimbalzano a Roma: “Non ci fermerete”, scandiscono i leader sindacali. “Siamo qui per difendere il diritto alla vita, alla pace e al lavoro. L’aggressione alla Flotilla è un attacco anche ai cittadini italiani”. Dietro gli striscioni non ci sono solo i sindacalisti, ma anche parlamentari del centrosinistra e rappresentanti di associazioni pacifiste.
Lo sciopero generale del 3 ottobre ha così trovato la sua capitale simbolica a Milano. La città che vive da sempre di lavoro e di commercio oggi è paralizzata, ma i manifestanti rivendicano la legittimità della protesta: “Non ci sono weekend lunghi o scuse – gridano dal palco improvvisato su un camion – c’è la solidarietà con Gaza e con i nostri connazionali fermati in mare”.
La giornata è ancora lunga, ma l’impatto è già forte. I cori risuonano lungo corso Buenos Aires, la folla avanza compatta, la musica delle playlist alterna brani della resistenza italiana a canzoni arabe e hit contemporanee di Mahmood. Una colonna sonora che mescola epoche e culture, mentre l’onda umana continua a crescere.
Per la città è un giorno di tensione e di passione. Gli occhi sono puntati sul corteo, e la sensazione è che, comunque vada, la giornata del 3 ottobre resterà impressa nella memoria di Milano come una delle manifestazioni più imponenti e partecipate degli ultimi anni.