Le risultanze dell’inchiesta nota come Res Tauro, così come emergono dalle carte d’indagine e dalle intercettazioni allegate al fascicolo, delineano un quadro inquietante: la consorteria Piromalli non solo mantiene un capillare controllo estorsivo e una fitta rete di intestazioni fittizie e prestanome, ma dispone anche di armi da guerra e da fuoco che ne rafforzano la pronta capacità offensiva e intimidatoria sul territorio di Gioia Tauro.

L’eloquenza delle intercettazioni

Gli atti raccolti dalla DDA registrano conversazioni tra affiliati in cui la menzione di armi avviene con «chiarezza ed impressionante naturalezza». Nei dialoghi riportati, soggetti come Mazzaferro Rosario e Ferraro Giuseppe discutono senza schermature di fucili Benelli, mitra con «doppio caricatore», pistole 9x21, pistole modello 70, magnum, 38 special, cartucce «israeliane» e persino di un kalashnikov. I toni non sono da goliardata: si parla esplicitamente di portare armi agli incontri della ‘ndrangheta per averle «pronte» in caso di necessità, di esercitazioni al poligono e della maggiore «sicurezza» procurata da armi automatiche nel caso di offensive multiple.
Un incontro significativo citato negli atti racconta di un appuntamento in cui, tra le risate e la parlata quotidiana, Mazzaferro descrive la sua capacità di «ficcare» più colpi su un bersaglio e di avere più caricatori nel giubbotto: la conversazione denota non solo la disponibilità materiale delle armi, ma la loro strumentalizzazione mentale come mezzo di controllo.

Sequestri e riscontri investigativi

Le risultanze intercettive non restano isolate: nell’ambito di procedimenti connessi (tra cui l’operazione Hybris) gli inquirenti ricostruiscono riscontri oggettivi, con sequestri che confermerebbero l’esistenza di un arsenale messo a disposizione di singoli affiliati. Tali riscontri rafforzano l’impianto accusatorio circa la detenzione e la circolazione clandestina di armi vietate.

Quadro giuridico: quando una consorteria è «armata»

La giurisprudenza di legittimità, richiamata dagli inquirenti, indica come non sia necessario fornire la prova puntuale della singola arma perché un’associazione mafiosa sia ritenuta «armata»: è sufficiente dimostrare la disponibilità di armamento desumibile dall’insieme degli elementi fattuali e dalla storia giudiziaria della consorteria. Alla luce delle intercettazioni e dei sequestri, gli investigatori ritengono pertanto integrata la disponibilità di armi da parte dei Piromalli, elemento che aumenta la loro capacità di intimidazione e di reazione immediata in caso di aggressione o offensiva rivale.

Estorsioni e intestazioni fittizie: il controllo economico del territorio

Parallelamente all’analisi sul piano armato, l’inchiesta documenta modalità sistemiche di controllo economico: estorsioni ai commercianti e alle imprese, ricorso a intestazioni fittizie per occultare patrimoni e commistioni tra interessi criminali e attività imprenditoriali lecite. Questo intreccio – secondo gli inquirenti – consente alla cosca di radicarsi nel tessuto produttivo e sociale, rendendo più difficile la fuoriuscita degli attori economici dal circuito di dipendenza mafiosa.

Implicazioni e rischi per la collettività

Il valore probatorio delle intercettazioni e dei sequestri rilevati rende concreto il rischio che la disponibilità di armi non sia episodica ma organica alla struttura del sodalizio: la presenza di armi da guerra e la loro normalizzazione nelle conversazioni aumentano il pericolo per la sicurezza pubblica e per la libertà d’impresa a Gioia Tauro. L’arma, nel racconto degli indagati, non è mera attrazione esibita ma strumento di controllo e reazione, idoneo a mutare la dinamica delle intimidazioni in violenza effettiva.