Denunciate anche quando la voce trema. Denunciate quando vi dicono che “non è poi così grave”. Denunciate quando pensate che non ci sia più via d’uscita. Denunciate per voi, per i vostri figli, per chi verrà dopo
Tutti gli articoli di Attualità
PHOTO
Alla vigilia della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il Paese si prepara a tingersi di rosso. Rosso come le scarpe vuote che riempiranno le piazze, rosso come le luci che illumineranno i palazzi istituzionali, rosso come il sangue e la vergogna che troppe donne portano nel cuore. Ma c’è un altro colore che, ancora oggi, domina la vita di chi subisce violenza: il colore del silenzio. Un silenzio che soffoca, che isola, che toglie respiro.
Ogni anno, quando al TG o sui social leggiamo dell’ennesimo femminicidio o mentre urliamo i nomi delle vittime alle manifestazioni del 25 aprile, ci auguriamo che quella possa essere l’ultima. Ce lo promettiamo, ripromettiamo, lo giuriamo, lo speriamo, ma ogni volta non è così. Ogni anno, ripetutamente, ci accorgiamo che quelli non sono numeri, ma storie spezzate. Storie di donne che avevano sogni, progetti e un futuro vanificato improvvisamente. In ciascuna di loro c’era una vita piena, che è stata strappata o ferita da chi - forse - avrebbe dovuto proteggerla.
La violenza comincia spesso così, quasi in punta di piedi. Una parola che ferisce, un controllo che si traveste da gelosia, un limite imposto “per amore”. Poi diventa una porta chiusa, un telefono sottratto, un conto bancario svuotato, un livido nascosto da un maglione largo. Ed è lì, nel quotidiano, che una donna può iniziare a scomparire agli occhi del mondo e, a poco a poco, anche ai propri.
Molte restano. Restano per paura, per i figli, per vergogna, per mancanza di indipendenza economica. Restano perché la società non sempre ascolta, non sempre capisce, non sempre protegge. Restano perché denunciare è un salto nel vuoto, un atto di coraggio immenso. Sono proprio queste donne che devono necessariamente sapere che esistono centri antiviolenza, sportelli di ascolto, associazioni. Ci sono mani tese, ci sono persone pronte ad aiutare, ci sono luoghi sicuri.
Il 25 novembre non è dunque solo un simbolo, ma un richiamo a guardare in faccia un problema che riguarda tutti: donne e uomini, giovani e adulti, istituzioni e cittadini. Un invito a non voltarsi dall’altra parte e a riconoscere, finalmente, che la cultura del rispetto è un impegno quotidiano. Il 25 novembre non è solo una data sul calendario. È un grido collettivo, un abbraccio simbolico a chi ha vissuto l’ombra e a chi la sta ancora attraversando
Denunciate anche quando la voce trema. Denunciate quando vi dicono che “non è poi così grave”. Denunciate quando pensate che non ci sia più via d’uscita. Denunciate per voi, per i vostri figli, per chi verrà dopo. Denunciate per non lasciare spazio al silenzio. Non esiste amore che faccia male. Non esiste colpa che giustifichi una violenza. Non esiste muro che non possa essere abbattuto per fare un primo passo: chiedere aiuto. E, soprattutto, non esiste donna che non meriti di essere al sicuro, rispettata, libera. Sempre.

