Aveva solo 56 anni quando una raffica di colpi al volto e al petto esplosi da due killer della 'ndrangheta — al servizio di Cosa Nostra — pose fine alla sua vita su una strada tranquilla tra Campo Calabro e Piale, in provincia di Reggio Calabria. Era il giudice Antonino Scopelliti, un uomo dello Stato che aveva scelto di non piegarsi. Oggi sono 34 anni da quel 9 agosto 1991. 

Scopelliti stava per rappresentare la pubblica accusa davanti alla Corte di Cassazione nel maxiprocesso contro la mafia. Quel processo che per la prima volta nella storia della Repubblica avrebbe messo in ginocchio l'organizzazione criminale più potente d’Italia. Quel processo che, evidentemente, la mafia non poteva permettersi di perdere.

Il suo omicidio non fu solo l’eliminazione di un giudice integerrimo. Fu l’apertura di una stagione di terrore che culminò, due anni dopo, nelle stragi di Capaci e via D’Amelio. In quel momento, l’attacco allo Stato diventò dichiarato. Ma era cominciato proprio lì, il 9 agosto 1991, con il sangue di Antonino Scopelliti sull’asfalto calabrese. Una realtà che tutti conoscono ma che ancora non ha trovato conferme nelle aule dei tribunali. Una verità monca che come ogni anni, in questo giorno, lascia nel ricordo l’amaro di chi aspetta e non demorde.

Una figlia che non ha mai smesso di lottare

In questi 34 anni, la famiglia Scopelliti ha vissuto nel dolore, ma anche nella determinazione. Rosanna, la figlia di Antonino, all’epoca solo una bambina, è diventata il simbolo di una memoria attiva, che non si arrende.

Ha trasformato la perdita personale in un impegno civile, fondando la Fondazione Scopelliti e portando la voce del padre tra i giovani, nelle scuole, nelle piazze.

Con dignità e forza, Rosanna ha tenuto accesa una luce sulla verità. Una verità che, però, lo Stato non è ancora riuscito a consegnare. Il processo per l’omicidio del giudice si è infatti concluso con l’assoluzione degli imputati e l’archiviazione. Prove insufficienti, depistaggi, testimoni inaffidabili. Un copione già visto, che sa di beffa, di sconfitta.

Eppure, Rosanna non ha mai smesso di chiedere giustizia. Vuole sapere chi ha ucciso suo padre e perché. La verità è l’unico modo per essere davvero liberi. Continua a leggere su IlReggino.it.