I calabresi dell’anno

Il pm Annamaria Frustaci, la giustizia che funziona. «Nel processo Rinascita Scott uno sforzo grandioso»

Il ruolo delle donne e le azioni necessarie per combattere ogni genere di violenza secondo la magistrata antimafia che è tra i protagonisti dei grandi processi e delle inchieste nel 2023. Ma non basta la risposta della giustizia: servono anche istituzioni più presenti, capaci di intervenire

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di Paola Bottero
31 dicembre 2023
06:15

Ha poco più di quarant’anni, ma ne dimostra molti di meno. Alta, capelli corvini, fiera, cammina veloce e sicura su tacchi alti in un mondo quasi tutto declinato al maschile. Vive sotto scorta da quasi cinque anni, ne ha passati quasi quindici al fianco del magistrato antimafia Nicola Gratteri. È bella, Annamaria Frustaci. Dentro ancora più che fuori. Non passa inosservata mai, ancora meno quando indossa la toga ed entra nell’aula bunker per celebrare maxiprocessi nella sua Calabria, quella in cui è tornata per sconfiggere la mafia. Il 2023 è stato il suo anno, è diventata un simbolo, un punto di riferimento per tantissimi cittadini. Dopo il tempo trascorso sulle carte a studiare, comparare, scrivere, il tour de force in aula. Il processo Rinascita Scott è arrivato a sentenza, ma lei già pensa all’appello. Ed agli altri maxiprocessi in corso. La giustizia non si ferma mai.

Nel frattempo si spende sul territorio nazionale per sconfiggere la criminalità partendo dall’educazione alla legalità.


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La Calabria sarà mai una terra libera? 

“C’è una possibilità che i cittadini calabresi possano vivere bene nei loro territori, nei loro paesi, nelle loro città? Ci sarà mai un giorno in cui non sarà necessario andarsene per realizzare le loro aspirazioni?”. La domanda delle domande. Ce la facciamo in tanti, ce la facciamo spesso, cercando di capire in che modo incidere, ciascuno per la propria parte, per poter cambiare davvero le cose. Al di là delle parole, al di là della retorica.

Annamaria Frustaci, sostituto procuratore di Catanzaro, se l’è sentita fare l’ultima volta a novembre, in Toscana. Era andata ad Empoli e a Castiglione Fiorentino utilizzando, come fa spesso, i giorni liberi per mettersi a disposizione delle scuole – medie e superiori – che chiedono supporto e testimonianze per l’educazione alla legalità. Un ragazzo con chiaro accento toscano l’ha fatta riflettere ancora. Sempre su quella domanda: la Calabria sarà mai una terra dove vivere, una terra che non respinge i suoi figli migliori? La magistrata non ha dubbi: «Il confronto è importante, ma bisogna lavorare tanto nella rete istituzionale, nella rete dei servizi. I cittadini hanno bisogno non solo di qualcuno che scuota le coscienze fino dalla loro giovane età, di confronto con persone che facciano vedere loro la possibilità di una giustizia più funzionale e attenta ai loro bisogni, ma anche di avere istituzioni molto presenti, che sappiano intervenire, che possano accompagnare davvero la loro crescita». Come dire: possiamo anche cambiare mentalità, liberarci dal giogo della paura. Ma poi come viviamo? «Ci vuole uno sforzo in più, ci vuole una rete di servizi sul territorio».

La giustizia libera gli spazi, l’educazione libera le menti. Ma sono le istituzioni, insieme alla società civile, a dover dare risposte concrete.

L’infanzia e l’adolescenza di Annamaria e del suo alter ego

Lara e Annamaria: due nomi diversi per raccontare la stessa storia di valori, di forza, di determinazione.

Annamaria è la seconda, unica femmina, di quattro fratelli. «Quattro ragazzini difficili da gestire», racconta, un’infanzia serena a Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, nel catanzarese, nessuna idea sulle scelte future. Il liceo, le lettere scritte con la madre alle università di Pisa, Padova, Pavia «perché immaginavo di fare giornalismo d’inchiesta, mi ero informata sul corso di Bologna, ma bisognava avere già una formazione giuridica o economica, quindi mi ero orientata sulla facoltà di giurisprudenza». Le sue inchieste non saranno mai giornalistiche: la porteranno nella Dda di Catanzaro, nel pool di Gratteri, e segneranno la storia giudiziaria degli ultimi anni. Soprattutto di questo 2023.

Lara è il suo alter ego adolescente su carta, la protagonista “un po’ romanzata”, ma nemmeno troppo, de “La ragazza che sognava di sconfiggere la mafia”, pubblicato da Mondadori a maggio 2022. Da allora è uno strumento di lavoro per gli insegnanti che vogliono essere facilitati nello spiegare il senso della giustizia e della legalità. Si muove anche lei nelle colline affacciate sul mare calabrese, in un paese in cui la giustizia è solo un’idea vaga e non è possibile opporsi a certe persone. Come Totò, che pretende di avere Michi, il cagnolino ritrovato dalla ragazza, e permette a Lara – ed ai lettori del libro – di comprendere che prendersi cura, impegnarsi, cercare di cambiare le cose siano l’unico modo per avere un futuro migliore.

La violenza si sconfigge solo con un cambiamento culturale

Lara e Annamaria hanno sempre camminato l’una accanto all’altra. E continueranno a farlo, perché «bisogna sempre lavorare su un piano preventivo, più funzionale ad un cambiamento di mentalità, ad un cambiamento culturale. Anche i femminicidi dimostrano che ci vuole sempre un cambiamento culturale per sconfiggere ogni forma di violenza, da quella organizzata a quella di genere. L’intervento preventivo è sempre la risposta più efficace che si possa dare come forma di contrasto, piuttosto di quello successivo, che è solo repressivo».

2023: l’immagine di una giustizia che funziona

Ma la repressione è necessaria, soprattutto in un territorio come la Calabria, dove il confine tra legalità ed illegalità è molto labile: la ‘ndrangheta si sa muovere, la giustizia lavora quasi h24. Annamaria Frustaci ed i suoi colleghi sostituti non si sono presi pause. Prima con il Procuratore Nicola Gratteri, da ottobre con Vincenzo Capomolla, hanno restituito un po’ di quella fiducia che i cittadini avevano perso. Un anno importante, il 2023, che ha dato «l’immagine di una giustizia che funziona, rappresentata da tante figure femminili, come le tre componenti del procedimento Rinascita Scott: una giustizia che ha dato un bellissimo esempio di efficienza e di concretezza». È stato un segnale molto positivo per il territorio: «C’è stata una risposta efficace, tempestiva. Un segnale importante per i cittadini, che hanno capito che le cose vanno avanti».

È una giustizia che ha funzionato. «Credo si sia compiuto qualcosa di grandioso. È stata una prova stoica, alcune udienze sono andate avanti fino alle due di notte, ciascuno ha dato tantissimo, sottraendo tempo anche a se stesso. Quali udienze in Italia hai visto andare avanti così, anche di sabato, anche ad agosto?». Impossibile commentare il processo: bisogna attendere le motivazioni. Ma alcuni dati sono chiari. Intanto sono venute meno alcune condizioni di procedibilità: se non è stata fatta la querela si deve assolvere, perché la riforma Cartabia ha eliminato la procedibilità di ufficio per alcuni reati. Anche il reato di abuso di ufficio ha subìto modifiche normative in corso d’opera, a giugno 2020: la richiesta di rinvio a giudizio è stata fatta con una nuova normativa. E ancora: con l’esclusione dell’aggravante del metodo mafioso, che raddoppia il termine di prescrizione, alcuni reati non sono stati più perseguibili.

Frustaci guarda avanti. I processi chiusi sono chiusi, in attesa degli altri gradi di giudizio. E intanto sottolinea la cosa più bella dell’anno giudiziario ormai finito: «Vedere che la società civile adesso è più presente nei processi». È un dato: anche su Rinascita Scott c’erano molte parti civili, ma erano istituzionali, c’erano pochi cittadini. L’udienza preliminare di Maestrale-Chartago ha avuto invece una grande presenza della società civile. Ridare speranza per averne ancora di più. Lara continua a camminare al fianco di Annamaria.

La legge bavaglio: il giornalismo informa e forma

A una ragazza che prima di sconfiggere la mafia sognava di fare giornalismo di inchiesta è impossibile non chiedere un commento sull’emendamento conosciuto come “legge bavaglio”. Molte inchieste calabresi sarebbero state silenziate, questo è un fatto. E se da una parte Costa, il parlamentare che ha proposto l’emendamento, insiste sulla necessità di “eliminare la gogna mediatica”, dall’altra Fnsi, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, insorge perché “si vieta ai cittadini il diritto di informazione”.

«Il legislatore deve mettere al centro la tutela dei diritti dei cittadini». E comprimere la cronaca giudiziaria significa l’esatto opposto: le garanzie si rendono più efficaci se, quando ci sono abusi, si interviene sui singoli casi di abuso rilevati, nella pubblicazione di dati non coperti dal segreto istruttorio. Ma non si può impedire a monte l’esercizio del diritto/dovere di cronaca del giornalista. «Lascerei esprimere più la stampa che non la magistratura: il mio interesse è avere gli strumenti per far funzionare bene la giustizia, i giornalisti ed i cittadini devono stabilire che tipo di informazione desiderano avere. Certamente questo che si sta prospettando non è funzionale ad una giustizia che funziona».

Giornalista
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