«Siamo in presenza di una grande organizzazione criminale internazionale i cui membri avrebbero prelevato la droga in Spagna per portarla in Italia». Dopo aver verificato la presenza di uno dei presunti narcotrafficanti arrestati ieri dalla Dda di Reggio Calabria, la Policia nacional di Valencia fa partire intercettazioni a tappeto sulle persone in contatto con il broker calabrese Federico Starnone e con un siciliano che si è trasferito nella penisola iberica e ha precedenti per narcotraffico. L’attività investigativa individua i capi del network, cioè gli uomini che si interessano delle spedizioni in Italia. Starnone è l’intermediario chiave: si trasferisce nell’area di Valencia per condurre le trattative e fa da trait d’union tra la ’ndrangheta di Mammola e i narcos sudamericani. Lo aiuta il siciliano (che non è indagato in questo procedimento) e anche grazie ai suoi contatti si trasferisce a Bogotà per perfezionare l’affare.

L’acquisto di un ristorante a Valencia

Starnone arriva con un volo Torino Caselle-Barcellona e il suo punto di riferimento nella regione è una pizzeria gestita da un uomo originario del Vibonese il cui fratello (non indagato) si muove assieme al presunto broker. Gli investigatori appuntano una conversazione in cui l’accompagnatore di Starnone manifesta «il suo interesse ad acquistare un’attività commerciale nel settore della ristorazione tra Valencia, Benidorm e Alicante».

Da dove arriva (e quanto costa) la cocaina

Il ruolo dei vibonesi non viene chiarito oltre ma evidenzia che lo sbocco naturale degli affari continua a essere nell’universo della ristorazione. Starnone racconta a uno dei suoi contatti quale sarà il prossimo step e precisa che la cocaina «sarebbe arrivata da Santo Domingo, dal Costa Rica, da Cartagena, da Baia Colombia, per un costo compreso tra i 5mila e i 6mila euro al pacco», cioè al chilogrammo. Altro passaggio: la percentuale richiesta per recuperare la droga nel porto italiano di arrivo sarebbe oscillata tra il 25 e il 30%.

Meglio il porto di Genova o di Gioia Tauro?

Quale porto? Il dibattito è aperto: inizialmente Starnone prende in considerazione il porto di Genova, per far arrivare la coca in container refrigeranti carichi di frutta e farla recuperare da un tale Salvo. Damiano Abbate, un altro degli indagati, non si fida e preferirebbe un porto più vicino alla base del clan: Gioia Tauro, dove avrebbe potuto contare su uomini fidati. Questioni logistiche. E in quanto a logistica, la Spagna è centrale. È lì che il gruppo inaugura una collaborazione con un colombiano che conta «innumerevoli precedenti penali per traffico di droga» e progetta di scaricare una “lancha” (un piccolo motoscafo) per evitare i controlli della Guardia Civil.

Il network criminale della coca

Gli investigatori spagnoli continuano a monitorare gli affari del compare siciliano di Starnone: i suoi movimenti nel Comune di Reus (nella provincia di Tarragona) sembrano ampliare il fronte delle indagini. Appaiono altri italiani non identificati e nelle conversazioni si fa cenno al prezzo di un chilo di cocaina. Uno dei contatti, Oscar, parla dei suoi precedenti penali e dice che lo «hanno preso a Barcellona con un container con 350 bambini» (si tratterebbe di un container con 350 chili di cocaina, motivo per il quale sta scontando una condanna). L’interlocutore resta sconosciuto: si capisce però che tornerà in Colombia.

Orologi di lusso per placare i finanziatori

Ci sono tutti i tratti del network globale di cui ieri ha parlato il procuratore facente funzioni di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo. È un mercato complicato, però, quello del narcotraffico. A volte per chiudere un affare non bastano neanche contatti e organizzazione. Starnone, in effetti, fatica a condurre in porto l’operazione e chi ha anticipato il denaro per la coca si spazientisce, tant’è che il gruppo di Mammola si trova costretto a regalare orologi preziosi ai finanziatori dell’operazione per rassicurarli ed evitare che si tirassero indietro pretendendo la restituzione delle somme già anticipate. Meglio tenerseli buoni.