Il processo

Bergamini, il testimone: «La fidanzata era disperata, diceva che il suo ragazzo si era buttato sotto a un camion»

Sentito in aula il proprietario della Ritmo bianca che il 18 novembre del 1989 arrivò per primo al km 401 della Statale jonica dove poco prima era morto il calciatore del Cosenza (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Marco Cribari
12 gennaio 2023
18:02
Denis Bergamini e l’auto di Panunzio
Denis Bergamini e l’auto di Panunzio

C’era lui alla guida dell'auto che il 18 novembre del 1989 arriva per prima sulla scena di Roseto Capo Spulico, a tragedia appena compiuta, eppure fino a qualche anno fa per alcuni Mario Panunzio neanche esisteva. Era solo un parto della fantasia di Isabella Internò, ovvero l'uomo misterioso che quella sera l’accompagna al bar a telefonare alla guida della Maserati di Bergamini, lasciando sul posto i suoceri e addirittura la moglie incinta. La circostanza era sembrata strana a Carlo Petrini, autore del libro “Il calciatore suicidato”.

«Ma come», lasciava intendere lo scrittore, «uno molla la propria donna in stato interessante e salta su un'altra auto con una ragazzina sconosciuta?». E invece i fatti sono andati proprio così. Il diretto interessato, oggi 58enne, sottufficiale della Marina italiana in servizio presso l’arsenale di Taranto, l’ha ribadito stamane in aula, chiamato a testimoniare proprio nell’ambito del processo contro la Internò.


La ragazza che piange

Quella sera, si trova a passare dalla Ss 106 alla guida di una Fiat Ritmo bianca, proveniente da San Lorenzo Bellizzi e diretto a casa, in Puglia, ma nei pressi di Roseto vede un camion fermo sulla sua corsia di marcia e una ragazza che si sbraccia sul ciglio della strada. «Ho quasi rischiato di investirla perché si è lanciata contro il mio cofano. Piangeva disperata e urlava: “Il mio ragazzo si è buttato sotto a un camion” e lo ripeteva in continuazione».   Poco distante c'è il Fiat Iveco e, davanti a esso, il corpo ormai privo di vita di Donato Bergamini. Panunzio ricorda come il camionista, in stato confusionario, strepitasse contro il cielo: «Aveva le mani in testa e diceva: “ma che mi doveva capitare stasera, io non dovevo essere neanche qua”. Poi, infatti, mi spiegò che la moglie era ricoverata in ospedale e che quel viaggio lui non avrebbe voluto neanche farlo».

Scene di ordinario dolore

Isabella, Pisano e nessun altro. Sono queste le persone che il testimone trova al suo arrivo sul posto, e quella che descrive non sembra altro che una scena di ordinaria disperazione: due persone in stato di shock per un evento tragico e inatteso che si è appena consumato sotto ai loro occhi. La ragazza mentiva come una grande attrice? Di certo c’è che, se davvero Bergamini è stato ucciso come sostengono alcuni medici legali, alla messinscena che secondo la Procura di Castrovillari sovrintende al suo omicidio, si è aggiunta anche questa interpretazione da Oscar. Quella di Isabella era tutta una recita? Panunzio non può dirlo. Il suo nome evoca quello di un personaggio del film di Elio Petri “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, ma a differenza del suo omologo cinematografico, il Nostro non deve depistare né coprire responsabilità altrui: è solo un comprimario catapultato sulla scena di un futuro mistero, anche se all’epoca lui non lo sa.

«Era fuori di testa»

Da allora sono passati più di trentatré anni, e malgrado i ricordi vadano via via sfumando, una cosa è ancora ben viva nella sua memoria, nonostante non l’abbia più visto da allora: il volto della Internò. «Era fuori di testa. Era davvero disperata, poverina. Durante il tragitto verso il bar urlava e mi afferrava in continuazione il braccio, rischiando di farmi sbandare. “Portami a Cosenza, portami a Cosenza”, lo chiedeva con insistenza. Poi lì le hanno dato un po’ d’acqua e sembrava essersi calmata, ma continuava a piangere ininterrottamente».

Il testimone sparisce

Il resto è noto. Panunzio lascia la Internò nel locale di Mario Infantino e alla guida della Maserati torna al km 401 della Statale jonica per ricongiungersi con la sua famiglia. «Appena arrivato sul posto ho trovato i carabinieri e a uno di loro ho spiegato quanto accaduto. Non ha preso le mie generalità e mi ha concesso di andare via». In seguito, il pm Ottavio Abbate proverà a correggere questa svista, dando ordine di rintracciare l’uomo della Ritmo bianca, ma senza esito. Da allora, e per gli anni successivi, Mario Panunzio diventa un fantasma, anche se rintracciarlo si rivelerà più semplice del previsto. Merito di una foto scattata sulla scena dell’incidente che immortala la targa della sua auto parcheggiata di fianco a quella della polizia e che, nel 2012, consente agli investigatori di risalire a lui.

E poi riappare

Avrebbero potuto arrivarci almeno un anno prima. Come? A introdurre la circostanza è stato l’avvocato Fabio Anselmo. Il primo a contattare Panunzio, infatti, è l’avvocato Eugenio Gallerani, vecchio difensore della famiglia Bergamini. In quel caso, però, il testimone aveva messo giù la cornetta, un po' impaurito, non essendo certo dell’identità del chiamante. Non è chiaro se dall’altro capo del filo vi fosse proprio Gallerani, ma dalle indagini emergerà che nel periodo indicato, una telefonata di questo tipo partì proprio dal suo studio legale di Ferrara. In seguito, all’esistenza di Mario Panunzio non si farà alcuna menzione nel dossier che Gallerani presenta in Procura per chiedere – e poi ottenere – la riapertura delle indagini. La sua ricostruzione, infatti, non ammette l’esistenza di un Panunzio. La Maserati? Non si è mai mossa da lì. E ad accompagnare Isabella al bar sono stati gli assassini suoi complici. Anni dopo, sia l’allora procuratore Franco Giacomantonio che il gip Annamaria Grimaldi stigmatizzeranno la scelta di aver nascosto informazioni all’autorità giudiziaria.

La gente muore

«Se non l’avessero rintracciata i carabinieri, lei si sarebbe presentato spontaneamente?» gli ha chiesto in conclusione Angelo Pugliese, uno dei difensori di Isabella Internò. «Credo di no» è stata la risposta di Panunzio, e dopo una breve pausa: «Perché c’era comunque un po’ di paura». Precisazione che per un attimo ha ingolosito l’aula. Paura di chi o di cosa? «Perché se ne sono dette tante in questi anni, che è morta tanta gente, dottori…», suggestioni che il giudice Paola Lucente ha rintuzzato con una chiosa amara: «Eh, gli anni passano. La gente muore…».

Mamma mia

Perché dopo la morte di Bergamini Isabella Internò voleva andarsene a Cosenza? «Portami a Cosenza, portami a Cosenza». A Mario Panunzio lo ha pressato con insistenza, «ma io non potevo, figuriamoci, con mia moglie incinta e i suoceri che mi aspettavano lì», ma non è stato lui l’unico destinatario di questa richiesta. Poco prima, infatti, a stessa richiesta, un desiderio analogo la ragazza l’aveva manifestato a Pisano, incassando però una risposta verace: «A Cosenza? Prima vai dai carabinieri a fare la deposizione e poi te ne vai a Cosenza». E proprio ai militari, l’allora diciannovenne Isabella chiarirà infine il senso di quella sua smania. Voleva andare «dalla mamma». Nei momenti difficili, il posto più sicuro del mondo.   

 

 

 

 

Giornalista
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