Si è svolto oggi l’interrogatorio di garanzia nei confronti degli indagati accusati di aver portato avanti le attività illecite del clan già duramente colpito nel 2015 con l’operazione Andromeda
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Hanno risposto quasi tutti al gip gli indagati tratti in arresto martedì scorso nel corso di un’operazione diretta a disarticolare una cellula ancora attiva della cosca Iannazzo di Lamezia Terme. Hanno parlato col giudice Sara Merlini, fornendo le proprie versioni dei fatti contestati, il boss Francesco Iannazzo, detto U Cafarone, la moglie Giovannina Rizzo, il figlio Pierdomenico Iannazzo (difesi dall’avvocato Giuseppe Spinelli), il figlio Emanuele Iannazzo (difeso dall’avvocato Renzo Andricciola), Antonio Iannazzo e Vincenzo Iannazzo (difesi dagli avvocati Leopoldo Marchese e Antonio Iannazzo). L’unico che si è avvalso della facoltà di non rispondere è Francesco Amantea (difeso dall’avvocato Renzo Andricciola).
L’inchiesta
Secondo la Dda di Catanzaro, la cosca, dopo essere stata decimata dagli arresti del 2015 con l’operazione Andromeda, avrebbe cercato di rigenerarsi grazie al contributo di chi non era ancora stato attinto da misure come la moglie del boss e l’uomo fidato, già autista del capocosca, Francesco Amantea. Quest'ultimi si sarebbero fatti carico di fronteggiare la momentanea carenza di risorse economiche e la correlata necessità di rinvenire fondi per sostenere le spese legali e sostentamento dei carcerati, eseguendo gli ordini impartiti da Francesco U Cafarone impartiti dal carcere, raccogliendo denaro da soggetti estorti o conniventi e conducendo attività economiche fittiziamente intestati a terzi. Come un’attività di autonoleggio situata vicino all’aeroporto e che sarebbe stata intestata fittiziamente a un prestanome, Giuseppe Ruffo. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, intestazione fittizia di beni, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, detenzione di armi da fuoco.