J’accuse

I vescovi calabresi “scomunicano” l’Autonomia differenziata e chiamano i parroci alla mobilitazione

VIDEO | Un documento della Conferenza episcopale della Calabria chiede alle comunità ecclesiali di organizzare approfondimenti e dibattiti pubblici. «Non possiamo restare indifferenti, senza solidarietà questo Paese non ha futuro»

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di Luana  Costa
25 marzo 2024
15:22

È un invito alla «mobilitazione democratica» ma anche una disamina puntuale sugli effetti che il disegno di legge sull’autonomia differenziata potrebbe produrre sulle Regioni più deboli ed economicamente meno sviluppate. Tutto condensato in un documento pubblicato dalla Conferenza dei vescovi calabresi che mette all’indice la riforma definendola «la secessione dei ricchi» prendendo in prestito la significativa espressione dall’economista Gianfranco Viesti.

Egoismi territoriali

«Un progetto insostenibile» per i vescovi calabresi che, «se realizzato, darà forma istituzionale agli egoismi territoriali della parte più ricca del Paese, amplificando e cristallizzando i divari territoriali già esistenti, con gravissimo danno per le persone più vulnerabili e indifese».


L’impegno della Chiesa

Il documento prende le mosse da tre scritti dei Vescovi italiani sul Mezzogiorno pubblicati a partire dal Dopoguerra e fino al 2010. Già all’epoca era emersa la necessità per la Chiesa di rilevare e denunciare «le situazioni di ingiustizia» e di avviarsi verso un maggior «impegno personale e comunitario orientato a riconoscere e a contenere o rimuovere le disuguaglianze che segnano il Paese».

Sviluppo distorto

A partire da quello che viene definito «uno sviluppo incompleto e distorto». Incompleto per aver lasciato indietro le regioni meridionali e distorto per averlo «incanalato verso strade che ne hanno peggiorato la situazione».

Cambiamento sì ma nella giusta direzione

La necessità per i vescovi calabresi è sì di un cambiamento ma di segno totalmente opposto a quello attualmente narrato. Un cambiamento che «possa favorire uno sviluppo unitario, secondo i principi di solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale» riprendendo le parole del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Matteo Zuppi.

La secessione dei ricchi

Sono diverse le criticità che suscitano preoccupazione messe in fila nel documento. Innanzitutto, l’aspetto fiscale con le Regioni che potrebbero godere di un maggior gettito da investire in servizi per i propri cittadini. «Non è un caso che l’iniziativa sia stata presa dal Veneto, dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, a partire dal 2017» rilevano i vescovi calabresi. «Quelle più sviluppate economicamente si ritroverebbero a poter gestire più risorse di quelle che lo Stato attualmente impiega nei rispettivi territori».

In nome della Costituzione

Ma dimenticando, annotano la Conferenza dei vescovi citando la Costituzione, che le «risorse ricavate dalle tasse hanno come criterio la progressività del prelievo e l’universalità dell’accesso dei cittadini ai servizi pubblici. In altre parole, le tasse sono in funzione di obiettivi di giustizia sostanziale e del superamento delle disuguaglianze tra le persone, non dei territori».

Il caso sanità

Vi è poi l’aspetto più controverso e più dibattuto: la determinazione dei livelli essenziali di prestazione e dei relativi costi e fabbisogni standard. Per controbattere a questo argomento i vescovi calabresi portano un solo esempio: la sanità. «La regionalizzazione del sistema sanitario e la definizione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea) non solo non hanno ridotto i divari di tutela della salute tra i territori, ma li hanno addirittura amplificati, come dimostrano i dati sulla migrazione sanitaria».

Sviluppo vero

Insomma, «la premessa per uno sviluppo vero dei territori, soprattutto di quelli più periferici, non può limitarsi alla mera definizione di servizi minimi essenziali, né alla definizione rigida di un budget di spesa – che finirebbe con il penalizzare soprattutto le aree interne delle Regioni più deboli – ma esige invece l’adozione di modelli di intervento capaci di valorizzare le risorse e aderire ai bisogni delle persone che vivono nei luoghi, in tutti i luoghi, territori urbani e non, città e piccoli paesi».

Mobilitazione democratica

Da qui la mancata condivisione del progetto: «I contesti che non ce la fanno vanno accompagnati, riconoscendo nella solidarietà tra territori un valore costituzionale da difendere e un impegno pastorale». E l’invito a «tutte le comunità diocesane e a tutti i territori» affinché «si organizzino occasioni di approfondimento e di pubblica discussione su questo tema e si promuovano adeguate forme di mobilitazione democratica». La conclusione è: «Non possiamo restare indifferenti».

Giornalista
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