'Ndrangheta, ecco boss e gregari già scarcerati. Altri 400 in lista d’uscita

Da Sinopoli a San Luca, passando da Gioia Tauro e Reggio Calabria. E poi Catanzaro, Vibo Valentia, Crotone: capi, colonnelli e secondo linee tornano a casa, ma l'esecito di detenuti per mafia e narcotraffico potrebbe ingrossarsi

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di Alessia Candito
7 maggio 2020
18:01

Da San Luca a Gioia Tauro, da Reggio città all’immediato hinterland, fino al vibonese. Sono oltre 40 i boss, capi e gregari della ‘ndrangheta tornati a casa perché statisticamente ritenuti “soggetti a rischio” in caso di contagio da Covid19. Nomi che fanno rumore come quello di Rocco Morabito, fratello del boss Giuseppe Tiradritto, espressione di clan che hanno scritto con il sangue la storia della ‘ndrangheta come i Serraino, o capi e reggenti di San Luca, il piccolo paese della Locride ritenuto la “mamma” della ‘ndrangheta.

 

Il rosario di scarcerazioni

Uno dopo l’altro hanno lasciato il carcere, su istanza degli avvocati o direttamente su segnalazione degli istituti di pena, per effetto della controversa circolare del Dap del 21 marzo scorso, tenuti a trasmettere ai magistrati di sorveglianza i fascicoli di ogni detenuto “statisticamente a rischio” per età o patologie. Una sorta di spada di Damocle in assenza di un piano di trasferimenti nei centri medici penitenziari e di aree Covid19 in questi ultimi, dove da mesi i ricoveri sono bloccati, salvo emergenze.


 

I rientri nella Piana di Gioia Tauro

È in questo quadro che tanti boss, capi e gregari hanno strappato un biglietto per tornare a casa. Nella Piana, sono tornati a casa personaggi del calibro di Vincenzo Bagalà, uomo di fiducia e braccio economico dei Piromalli, ombra di Antonio Piromalli, figlio di quel Peppe “Facciazza” che nonostante da 20 anni sia al carcere duro per i magistrati è ancora in grado di tenere salde in mano le redini del suo clan. Giovanissimo, stando all’età dei soggetti considerati a rischio ma evidentemente affetto da patologie tanto gravi da non essere più compatibile con il carcere anche Domenico Longo, 53enne capo dell’omonima ‘ndrina di Polistena. E a casa è andato anche Domenico Pepè, arrestato da latitante nel 2017 e accusato di essere uno dei narcos incaricati di gestire i traffici dall’America Latina per conto dei Piromalli.

 

Festa a grande a San Luca

Stesso ramo di business di Sebastiano Giorgi, 53enne di San Luca, condannato in via definitiva a 21 anni di carcere per traffico di armi e droga. Così malato da dover uscire dal carcere perché a rischio in caso di contagio, Giorgi è stato ritenuto dai giudici sufficientemente in salute – rivela L’Espresso -da poter uscire quotidianamente due ore per badare al bestiame di famiglia. Anche Antonio Romeo, il “Gordo”, ha da scontare una condanna definitiva a 17 anni per traffico di droga e anche lui, causa Covid19, adesso sconta la pena ai domiciliari in paese. Ma in paese si festeggia anche il ritorno a casa di Francesco Mammoliti, classe 1949, uno della vecchia guardia, che in carcere ha iniziato ad entrarci già ai tempi dei processi per i sequestri. Settantaquattro anni ha invece Giuseppe Nucera, condannato a 12 anni e mezzo di carcere come capo locale di Gallicianò, ndrina nata nell’orbita dei clan di Condofuri.

 

Il ritorno a casa dei patriarchi

Ma fuori di cella ci sono anche nomi di peso della ‘ndrangheta di Reggio città, come Demetrio Serraino, nato nel '47, fratello di quel don Ciccio Serraino, che ha scritto di proprio pugno la storia dei clan. Il suo è un cognome blasonato nella gerarchia criminale, al pari di quello di Rocco Morabito, il fratello del boss Peppe Tiradritto, uscito di cella negli stessi giorni del suo braccio destro, Domenico Antonio Moio. Nomi di peso della ‘ndrangheta reggina, al pari di quello di Rocco Santo Filippone, il "riservato" dei Piromalli, accusato insieme al boss palermitano Giuseppe Graviano di essere il mandante degli omicidi con cui la 'ndrangheta ha firmato la propria partecipazione alla strategia stragista degli anni Novanta e Carmine Alvaro “U bruzzise”, di Sinopoli, arrestato nell’operazione Iris. A qualche chilometro di distanza, torna a casa quel Diego Forgione che gli inquirenti ritengono il capolocale di Sant’Eufemia, finito dentro nel febbraio scorso con l’inchiesta Euphemos.

 

Un esercito che potrebbe crescere

A Catanzaro torna invece Nicolino Gioffrè, detto Nico, condannato a 13 anni e 6 mesi di carcere, perché ritenuto referente in città del clan Arena di Isola Capo Rizzuto. Nel vibonese invece vanno ai domiciliari Antonio e Michele Lo Bianco e Nazzareno Franzè, tutti finiti in manette con la maxi-inchiesta Rinascita-Scott. Più il narcobroker Francesco Ventrici e Domenico Camillò, ritenuto il reggente della ‘ndrina dei Pardea, i “Ranisi” e fra i più alti papaveri della 'ndrangheta vibonese. Un piccolo esercito, che adesso si potrebbe ingrossare. Perché c’è un’altra lista di 400 boss pronti a uscire dal carcere.

Giornalista
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