Un anno dopo

L’incubo dei rimpatri dopo la tragedia di Cutro: storie di speranze infrante a pochi metri dalla spiaggia e di promesse tradite

La nonna fuggita dall’Afghanistan per conoscere i propri nipoti in Europa, morta tra le onde. La battaglia dei sopravvissuti contro il muro della burocrazia. Chi aiuta i migranti ne racconta le sofferenze: «Il governo li ha illusi e abbandonati»

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di Alessia Truzzolillo
25 febbraio 2024
18:30

È stata una combattente fino alla fine, moglie di un combattente afgano e madre coraggiosa che ha fatto fuggire il prima possibile dalla guerra i propri figli. È morta a 65 anni mentre cercava di salvare una bambina nella stiva del caicco Summer Love che si riempiva d’acqua sempre più in fretta mentre l’imbarcazione affondava davanti alle coste di Steccato di Cutro, il 26 febbraio 2023. La donna afgana e la bambina si trovavano stipate nella stiva insieme ad altre cento persone. Quando una secca e il mare grosso, nella notte, hanno sfondato il caicco, chi ha potuto ha cercato di tornare su. La bambina era rimasta sotto e la donna non ha voluto lasciare la sua piccola mano. Non sono più risalite.
La voce di Ramzi Labidi, dell’associazione Sabir di Crotone, racconta le storie che si nascondono dietro alla tragedia di Cutro. Le parole di questo tunisino arrivato in Italia sei anni fa, mediterranea e calma, tradisce ogni tanto il dolore per le vite travolte dal mare e, soprattutto, da una politica internazionale crudele in termini umanitari.

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La scelta del “game” per conoscere i propri nipoti

La donna (la famiglia preferisce non rendere noto il nome), morta nel cercare di salvare la bambina, desiderava raggiungere l’Europa perché non aveva visto nascere nessuno dei propri nipoti. I figli non volevano che intraprendesse quel viaggio perché ne conoscevano le insidie. In Afghanistan non esiste un’ambasciata per avere un visto verso l’Europa. La scelta dei “game” – così i trafficanti chiamano queste traversate pericolose e costose per raggiungere l’occidente e sperare in futuro fatto di diritti, protezione e leggi uguali per tutti – è praticamente obbligata. Così, desiderosa di incontrare i propri figli e nipoti, anche la nonna afgana aveva messo da parte i circa 8000 euro per pagare i trafficanti ed era partita. Ma questi viaggi sono davvero un gioco a dadi con la morte e il naufragio di Cutro - che ha contato 94 vittime accertate, tra cui 35 bambini, e decine di dispersi – lo ha dimostrato.


Nessun canale umanitario e le alte mura della burocrazia

Il problema è che l’Europa – meta di tante speranze – spesso, dopo aver pianto morti e ammainato bandiere, si ammanta di burocrazia e solleva mura enormi. Innanzitutto non sono stati organizzati canali umanitari. Lo ribadisce, sulla rivista Internazionale, Manuelita Scigliano, presidente dell’associazione Sabir di Crotone e coordinatrice della Rete 26 febbraio: «Questi canali umanitari non sono stati organizzati, e molti sopravvissuti non hanno ancora ottenuto lo status di rifugiati».
Al momento ai sopravvissuti hanno riconosciuto solo la protezione umanitaria valida per un anno. Non è stata riconosciuta loro «protezione», come dice Ramzi, ovvero l’asilo politico per motivi umanitari. Chi non ha documenti non può lasciare il Paese che lo ospita, come accade ad alcuni sopravvissuti che si trovano in un centro di accoglienza ad Amburgo, in Germania. Molti non potranno raggiungere Cutro nei giorni della commemorazione per i morti del naufragio. Tre giorni dedicati alla riflessione e al ricordo organizzati dalla Rete 26 febbraio nella quale è inserita anche l’associazione Sabir, nata nel 2017 e che si occupa di inclusione, educazione, formazione, cooperazione internazionale.

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Affidarsi a Dio

Questa terribile tragedia ha insegnato che esiste una parte di umanità costretta a far leva sul coraggio per poter sopravvivere. Tanti decidono di rischiare perché in Paesi come Siria, Afghanistan, Pakistan, non c’è posto per i diritti umani, per coltivare un sogno, per crescere dei figli. La vita è una e allora si mette da parte il denaro e ci si affida a Dio.
Non è un caso, come è emerso nel corso del processo contro i presunti trafficanti, che poco prima della tragedia, in vista delle coste calabresi, alcuni migranti avessero chiamato le famiglie: «Siamo in salvo, Dio ci ha graziato».

I bambini uccisi dall’acqua gelida

Chi si rifugia in Iran, ci spiega Ramzi Labidi, rischia ogni giorno di essere rimpatriato. «Rischiano di vivere nascosti tutta la vita», dice.
Il problema del rimpatrio è un incubo. Lo era diventato anche per la famiglia di un ragazzo siriano di 23 anni. Si trovavano in Turchia da otto anni. Stavano cercando di integrarsi quando hanno cominciato ad avere problemi col frequentare la scuola, con il lavoro. Hanno capito che rischiavano di essere riportati in Siria. Il figlio più grande, allora, è partito portando con sé il fratellino di sei anni. Il progetto era quello di trovare un lavoro in Europa per aiutare la famiglia. Durante il naufragio si sono attaccati ad un pezzo di legno per restare a galla. Il fratello grande si preoccupava di difendere il piccolo dalle onde alte. Ma a portaglielo via è stato il freddo. L’ipotermia lo ha ucciso tra le braccia del fratello maggiore. E non è l’unico tra i piccoli ad essere rimasto vittima dell’acqua gelida di febbraio.

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Promesse tradite

Il 16 marzo di un anno fa, mentre il mondo era ancora atterrito da quanto avvenuto in questo lembo di Calabria, il Governo italiano ha ricevuto i sopravvissuti e i parenti delle vittime. Un gesto nato per rimediare alla figuraccia del governo per avere riunito il Consiglio dei ministri a Cutro senza incontrare i sopravvissuti e senza una vista alle salme che si trovavano al PalaMilione.
A rappresentare l’Italia c’erano il presidente del consiglio Giorgia Meloni, il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Antonio Tajani e il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Alfredo Mantovano. «Il Presidente – è scritto in un comunicato di Palazzo Chigi – ha garantito che proseguirà la ricerca delle salme, incluse quelle presumibilmente imprigionate nel barcone, ancora incagliato sul fondale. Ha assicurato inoltre l’impegno diplomatico dell’Italia in sede Ue per dare seguito alle richieste di accoglienza e di ricongiungimento in altri Paesi europei, in particolare in Germania; per un Afghanistan libero e rispettoso dei diritti umani, in particolare di quelli delle donne; per superare le diverse crisi che hanno colpito Pakistan, Palestina e Siria».

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«Col decreto Cutro ristrette le maglie dell’accoglienza»

«Un clima emozionato e commosso», scrive sempre Palazzo Chigi. Ma le promesse sono rimaste sulla carta.
La Stampa, il 21 febbraio scorso titolava “Cutro, ultimo sfregio” e riportava le parole di Francesca Rocca, responsabile dell’Area migrazioni della cooperativa Agorà Kroton che per l’assessorato alle Politiche sociali coordina il progetto di inserimento: «Un anno dopo quelle promesse sono state tradite in modo quasi beffardo. Proprio a causa del decreto Cutro, nato sull’ondata emotiva scaturita da quanto successo qui, anziché allargarsi le maglie dell’accoglienza si sono ristrette notevolmente, andando ad abolire una serie di protezioni». Solo uno dei sopravvissuti ha ottenuto il permesso di soggiorno. Per gli altri c’è un permesso di per motivi di protezione speciale che dura un anno. Effetto del decreto Cutro. Dopo la strage, la beffa.

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