Le carte dell’indagine

Anche la deputata Bruno Bossio tra i 180mila spiati dai tre finanzieri e dall’avvocato arrestati a Cosenza

VIDEO | Emergono i primi particolari dall’inchiesta che è costata i domiciliari al legale Domenico Quaglio, ex amministratore delegato della squadra di calcio della città bruzia, e a tre uomini delle Fiamme gialle. Per ogni visura illecita il professionista avrebbe pagato 50 centesimi, per un totale di 90mila euro (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Marco Cribari
13 luglio 2023
06:30

C’è anche Enza Bruno Bossio tra i soggetti “spiati” dai finanzieri cosentini arrestati ieri per corruzione e accesso abusivo ai sistemi informatici dell’Inps. I dati riservati relativi alla sua posizione reddituale e previdenziale sono stati carpiti nel periodo in cui la donna sedeva ancora in Parlamento. Le ragioni di tale interesse verso l’allora deputata del Pd non sono chiare, proprio come oscura è l’operazione analoga che ha riguardato diciassette delle persone coinvolte nell’inchiesta antimafia “Reset”. L’unica certezza è la loro privacy non è stata violata per motivi d’ufficio poiché a nessuno dei militari in questione erano state assegnate deleghe d’indagine di questo tipo.

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Per il resto, invece, la monumentale opera di acquisizione dei dati di quasi 180mila contribuenti sparsi in tutta Italia, messa in atto dai tre indagati, secondo la Procura di Catanzaro seguiva una logica ben precisa: favorire la società di business information dell’avvocato cosentino Domenico Quaglio, finito anche lui ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta.


L'inchiesta

Alle aziende come la sua si rivolgono altre imprese interessate ad avere notizie specifiche sui potenziali clienti al fine di valutarne l’affidabilità. La Sirinformat srl di Quaglio è una di queste società che, per ottemperare al loro compito, raccolgono le informazioni a loro richieste presso le Camere di commercio e i tribunali, nei limiti consentiti dalla Legge. Quei limiti che, però, la Sirinformat potrebbe aver ampiamente oltrepassato. L’inchiesta della Procura di Catanzaro documenta proprio questo sospetto: l’avvocato-imprenditore, infatti, avrebbe avuto una marcia in più rispetto ai suoi concorrenti poiché poteva contare sul supporto dei tre finanzieri del Comando provinciale di Cosenza che avrebbero sfruttato gli strumenti investigativi a loro disposizione per acquisire informazioni riservate da veicolare poi a Quaglio per la gioia dei suoi clienti.

Il traffico di notizie riguardava le posizioni reddituali e previdenziali alle quali gli uomini in divisa accedevano con facilità, tramite il data base dell’Inps a cui possono accedere per ragioni d’ufficio. Il punto è che non vi accedevano per motivi di lavoro, bensì per soddisfare le richieste di Quaglio. A tal riguardo sarebbero quasi 180mila i report a lui trasmessi su altrettante persone residenti in tutta Italia, in particolare in Sicilia, Lombardia, Campania e Calabria a riprova del grande giro d’affari che questo stratagemma aveva consentito di avviare. Non a caso, gli investigatori ritengono che negli anni della “collaborazione” fra gli uomini in divisa e Quaglio, quest’ultimo abbia addirittura quintuplicato il fatturato della sua azienda.

Gli accessi all'Inps ingiustificati 

Dopo essersi collegati al database con le password del loro ufficio, i finanzieri inserivano il codice fiscale della persona o dell’impresa di loro interesse e da questo momento in poi, per sbrigare una singola pratica, impiegavano solo tre secondi, il tempo richiesto per stampare in pdf una visura con tutti i dati che venivano poi trasmessi al committente attraverso Telegram. Dalle intercettazioni è emerso che Quaglio pagava cinquanta centesimi per ogni visura. E dato che a partire dal 2020, il terzetto gliene avrebbe offerto quasi 180mila, la cifra che avrebbe versato loro nell’ultimo triennio ammonta a circa novantamila euro.

Il pc da formattare

Lo scorso aprile uno dei finanzieri, quello più coinvolto nella vicenda, si era accorto di essere sotto controllo e ha tentato di correre ai ripari, cancellando tutto il materiale scottante custodito sui suoi dispositivi. Ha cercato anche di far formattare, con un pretesto, il computer del suo ufficio, nel tentativo di cancellare le tracce di quelle centinaia di accessi ingiustificati al database dell’Inps, di volta in volta motivati con uno scarno «indagini di pg» annotato sui registri di servizio. Tutto inutile perché a quel punto, la mole di collegamenti anomali era stata già segnalata alla Procura dal ministero dell’Interno e dal Garante della privacy. Il cerchio stava ormai per chiudersi. 

Giornalista
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