«A mе della divisa non me ne frega un cazzo! Lo faccio per soldi…». «Tu con me devi parlare come se io non avessi la divisa...». Quella divisa da agente penitenziario, Giuseppe Giaquinta, 52 anni, l’avrebbe sporcata più volte secondo la Procura di Crotone coordinata dal procuratore Domenico Guarascio. Avrebbe ottenuto denaro da detenuti o loro familiari in cambio di favori: l’introduzione di cellulari in carcere, qualche soffiata su indagini in corso.

Proprio da una di queste soffiate nasce l’inchiesta della Polizia che lo ha portato in cella questa mattina: da un colloquio in carcere tra il detenuto Roberto Passalacqua (non indagato), suo figlio e un altro congiunto, sarebbe emerso che uno dei parenti aveva corrisposto «somme di denaro in favore di un assistente capo della Polizia Penitenziaria in servizio nella predetta casa circondariale affinché accordasse al padre una serie di favori».

Nella conversazione che risale al 5 luglio 2022, salta fuori anche la cifra: 3mila euro per rivelare a Passalacqua «che la sala colloqui era captata». Sarebbe successo anche in altre occasioni. L’8 ottobre 2022, Giaquinta avrebbe incontrato a Cutro madre e fidanzata di un altro detenuto: alle donne avrebbe rivelato che nel carcere vi erano state intercettazioni per più di un mese avvisandole «di non parlare nel corso dei colloqui con il loro congiunto». In cambio dell’informazione, l’agente si sarebbe fatto consegnare 2mila euro: per gli inquirenti sarebbe il «prezzo per la corruzione del personale di alcuni uffici giudiziari, elemento questo mai riscontrato nel corso delle attività d'indagine».

Il pacchetto dei servizi offerti ai detenuti da Giaquinta

Dietro questa storiaccia di presunta corruzione e segreti investigativi svelati in cambio di soldi ci sarebbe la condizione di Giaquinta che, secondo gli investigatori, sarebbe un uomo «alla continua ricerca di denaro, mosso dall'unico fine della massimizzazione del profitto derivante dall'esercizio della propria attività, trasformata in illecita».

Così avrebbe ricercato, promosso, sollecitato e concluso «accordi corruttivi con detenuti, ai quali offriva un vero e proprio pacchetto di "servizi" illeciti: dall'introduzione in carcere di telefoni (talvolta corredato dalla ricerca di intestatari fittizi per le sim card da inserire nei dispositivi), alla possibilità di effettuare colloqui aggiuntivi rispetto a quelli previsti dalla normativa interna, dall'introduzione di pacchi con un peso superiore a quello ammesso alla consegna di messaggi e foto al di fuori delle ipotesi consentite».

Per ogni servizio illecito offerto – è l’ipotesi dell’accusa – Giaquinta aveva una propria tariffa e avrebbe manifestato, secondo quanto riporta il gip nell’ordinanza di custodia cautelare, «insensibilità assoluta ai propri doveri ed ai valori e principi connessi alla propria funzione».

Se ne sarebbe addirittura vantato come di una condizione di «normalità», da cui le frasi sprezzanti sulla divisa: «In altre parole, per l'assistente capo della Polizia penitenziaria non c'era alcun fine di giustizia, alcun valore o principio, alcuna regola di condotta, alcun dovere d'ufficio che non potesse essere recessiva rispetto a concrete prospettive di guadagno». «Si può fare! Con i soldi si può fare tutto!», avrebbe detto in una recente conversazione finita agli atti. Tutto in nome del denaro, ma certi conti prima o poi si pagano.

Gli indagati nell’inchiesta della Procura di Crotone

In carcere:
Giuseppe Giaquinta

Richiesta di misura cautelare rigettata:

Leonardo Passalacqua (Crotone, 1999)

Rocco Marchio (Crotone, 1993)

Lucia Torromino (Crotone, 1993)

Domenico Passafaro (Crotone, 1993)

Antonio Gaetano (Crotone, 1982)

Antonio Crugliano (Crotone, 1996)

Francesco Aloe (Cariati, 1994)

Veronica Fazio (Crotone, 1996)

Silvana Piglialosa (Crotone, 1962)

Pasquale Graziano (Crotone, 1995)

Patrizia Demeco (Crotone, 1982)

Ana Francesca Nita (Romania, 2004)