È morto per asfissia meccanica – strangolamento o soffocamento, sarà l’autopsia a stabilirlo – Elia Perrone, 8 anni, trovato senza vita nel letto della casa in cui viveva con la madre a Calimera, nel Leccese. A ucciderlo sarebbe stata quasi certamente lei, Najoua Minniti, 35enne originaria di Polistena, in provincia di Reggio Calabria, poi morta suicida nelle acque di Torre dell’Orso.

Il corpo della donna è stato recuperato nel tardo pomeriggio di ieri nei pressi dei faraglioni di Sant’Andrea dalla Capitaneria di Porto. Gli investigatori ritengono che, dopo avere tolto la vita al figlio durante la notte tra il 17 e il 18 novembre, la donna sia salita in auto e abbia raggiunto la costa, dove si sarebbe lasciata annegare.

La ricostruzione, affidata al Nucleo investigativo dei carabinieri di Lecce, non evidenzia il coinvolgimento di altre persone. Il piccolo, trovato in pigiama e senza altre ferite, sarebbe stato ucciso nel sonno.

La denuncia del padre e la ricerca disperata

L’allarme è scattato ieri mattina, quando il padre – un infermiere di Casarano – si è presentato a scuola per prendere il bambino secondo il calendario stabilito dal giudice dopo la separazione. Elia non era mai arrivato in classe. Dopo ore di tentativi di contattare l’ex compagna, l’uomo si è rivolto ai carabinieri denunciando l’irreperibilità della donna e del figlio.

Solo in serata, dopo il ritrovamento del corpo di Minniti e la sua identificazione grazie ai tatuaggi, sono partite le ricerche del bambino, prima in mare e poi nell’abitazione. Le chiavi sono state recuperate dall’affittuario e i militari hanno scoperto il corpo del piccolo riverso sul letto.

L’autopsia, affidata al medico legale Alberto Tortorella, sarà eseguita nelle prossime ore.

Un rapporto conflittuale e un esposto inquietante

Il quadro familiare restituirebbe una convivenza segnata da forti tensioni. I due genitori si erano denunciati più volte, soprattutto per la violazione dei turni di affidamento del bambino, che era in affido condiviso.

Un documento emerso nelle ultime ore aggiunge un elemento drammatico. È un esposto protocollato il 16 dicembre 2024, inviato dal padre al Comune di Calimera. L’uomo riferisce una visita ricevuta giorni prima da Minniti, durante la quale la donna avrebbe pronunciato frasi allarmanti: «Saluta bene Elia perché lo porto con me»; «È già capitato che io sia andata di fronte al mare con la macchina»; «Ritieniti responsabile di qualsiasi cosa capiti a me e a Elia».

L’uomo, preoccupato, aveva deciso di formalizzare la segnalazione. Nel frattempo la 35enne era seguita dai servizi sociali, ma – secondo le fonti investigative – non risultavano patologie psichiatriche accertate, pur essendo evidente uno stato di “turbamento”.

Il mare, i social e i segnali che non bastano mai

Sui social Minniti pubblicava spesso foto col figlio, ritratto in momenti di serenità. In un post aveva scritto: «Il mare è l’unico luogo che mi trasmette tranquillità e serenità». Proprio in mare ha trovato la morte, poche ore dopo avere – con ogni probabilità – ucciso suo figlio.

I vicini raccontano che negli ultimi giorni appariva tranquilla, affettuosa con Elia. Nessuno avrebbe immaginato l’epilogo di una tragedia familiare che ora la Procura di Lecce sta ricostruendo nei dettagli.

Chi era Najoua Minniti

La 35enne era originaria della provincia di Reggio Calabria, ma viveva ormai da anni in Salento. Nata a Polistena, era figlia di Leila Mouelhi, arrivata in Italia dalla Tunisia quando era ancora bambina. Appassionata di reggae, amante dei cani, da ragazza Najoua Minniti aveva lasciato la Calabria per trasferirsi a Parma. In quella città ha vissuto per 11 anni e aveva incontrato Fabio, salentino, il padre del piccolo Elia, secondo quanto ricostruito dalla Gazzetta del Mezzogiorno. Nel dicembre 2014 la donna ha perso un fratello a cui era molto legata. Si è poi separata da Fabio. Nel 2020 ha deciso di trasferirsi a Calimera, insieme al bambino a cavallo del periodo Covid.