Strage di Capaci, l’insegnamento di Vito Schifani nelle parole del figlio: «Non esistono scorciatoie, le cose belle costano fatica»
Il capitano della Guardia di finanza, Emanuele Schifani aveva 4 mesi quando il padre, uno degli uomini della scorta del giudice Falcone, trovò la morte per mano di Cosa nostra. Era il 23 maggio 1992
Il capitano della Guardia di finanza Emanuele Schifani aveva solo 4 mesi quando il padre, l’agente Vito Schifani uno degli uomini della scorta del giudice Falcone fu fatto saltare in aria quel maledetto 23 maggio 1992, quando Cosa Nostra decise di mettere in scena una delle sue più tremende ‘rappresentazioni’ della morte con un attentato di stampo terroristico-mafioso nei pressi di Capaci. I suoi ricordi con il padre gli sono stati rubati da una follia criminale, ma i suoi insegnamenti e la capacità della madre gli hanno permesso di conoscere quell’eroe che oggi merita un ricordo assieme a tutti coloro che per la giustizia e la legalità hanno offerto ciò che di più caro avevano, la vita.
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Emanuele parla di una madre forte che gli ha permesso di crescere con valori e che non ha mai ceduto all’odio. Una madre che ha fatto egregiamente il suo dovere di madre. La forza di una donna che ha mostrato il suo coraggio proprio durante il giorno dei funerali guardando in faccia la mafia senza timore di sorta, perdonando e chiedendo il pentimento di chi era nel torto.
Rosaria Costa, moglie dell’agente Vito Schifani decise di sfidare la mafia con un discorso che ancora oggi mette i brividi, soprattutto quando con un sospiro ripeté il nome de ‘Lo Stato’ con una pausa che crea domande e che racchiude tutto il significato di ciò che accadde con una parola: «… chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio... di cambiare... ma loro non cambiano».
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Il giorno della memoria per il capitano della Guardia di Finanza è un giorno che deve insegnare. Nonostante fosse un bambino di pochi mesi, il ricordo corre vivo attraverso i racconti della madre e degli amici del padre. Quasi con un tono di nostalgia parla di ricordi non proprio suoi, ma ciò che lo lega a quella figura paterna staccatagli nei primi mesi di vita è una passione che Vito Schifani coltivava: «Tutto quello che ho di lui ce l’ho attraverso chi lo ha conosciuto, ma quello che mi è rimasto di più è la sua passione per il volo. Lui amava pilotare gli elicotteri e aveva preso anche il brevetto da elicotterista per poi fare l’elicotterista in Polizia. Aveva una grandissima passione per il volo e lo si vede nelle videocassette girate all’epoca. L’estasi della sua passione durante il volo, mentre pilotava. Questo è quello che mi rimane totalmente di lui».
Totalmente forse perché visibile agli occhi anche se non tangibile al tatto, anche se impossibilitato dal poter dare un abbraccio. Ci lascia così immaginare la gioia di un uomo diventato vittima ed eroe assieme ad altri ‘angeli’. Un uomo che come tutti aveva una vita comune da vivere e coltivava passioni e sogni, che quel maledetto 23 maggio 1992 gli furono tolte senza possibilità di scelta.
Emanuele non ha dubbi sul messaggio che un tragico evento come questo deve lasciare ai giovani ed è diretto senza giri di parole: «Non ci sono scorciatoie! Se vuoi avere qualcosa di bello te lo devi conquistare anche se devi fare la strada più difficile e quando lo conquisterai avrà un significato maggiore, più importante». Queste le parole di un giovane capitano della Gdf che nonostante già da bambino sia stato messo alla prova non ha ceduto ed ha solcato quel tracciato lasciatogli dal padre.
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