L’inchiesta

Gioia Tauro, avrebbe favorito la latitanza di Domenico Bellocco e gestito gli affari della cosca: arrestato 43enne

Pietro Di Giacco è considerato dagli investigatori la voce del boss sul territorio. Si sarebbe reso disponibile ad avvicinare le vittime di estorsione e a offrire protezione per conto del clan di Rosarno

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di Redazione
12 febbraio 2024
12:56

Un uomo ritenuto personaggio di assoluta fiducia dei vertici della cosca di 'ndrangheta dei Bellocco di Rosarno, è stato arrestato dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria.

Si tratta di Pietro Di Giacco, di 43 anni, di San Ferdinando, accusato di associazione mafiosa. Su richiesta del capo della Dda reggina Giovanni Bombardieri, il gip ha emesso nei confronti di Di Giacco un'ordinanza di custodia cautelare in carcere. L'indagine, iniziata nel dicembre 2019, trae origine da una attività investigativa sulle dinamiche operative della cosca Bellocco ed il coinvolgimento di alcuni indagati nella gestione della latitanza del boss Domenico Bellocco, di 48 anni. Uno di questi indagati è Di Giacco nei confronti del quale, secondo i pm, ci sono gravi indizi anche in relazione agli affari illeciti della cosca.


Dalle indagini sarebbe emerso che Di Giacco avrebbe assicurato una rete di protezione e di comunicazione tra i vertici e si sarebbe reso parte attiva nella realizzazione del programma criminoso della consorteria. In sostanza, il 43enne sarebbe stato la voce del boss sul territorio mentre quest'ultimo era latitante.

Di Giacco sarebbe stato disponibile sia ad avvicinare le vittime di estorsione che a fungere da soggetto a cui rivolgersi per presentare richieste di protezione o assolvere al pagamento del "dovuto" estorsivo alla cosca. A riprova del ruolo ricoperto, l'uomo, secondo l'accusa, avrebbe ricordato di aver fornito in più di un'occasione e per numerosi anni assistenza ai latitanti dei Bellocco senza commettere errori che avrebbero potuto condurre gli investigatori alla loro cattura. Da qui la volontà dell'indagato, emersa dalle indagini dei carabinieri, di monopolizzare la gestione della latitanza di Domenico Bellocco evitando che altri potessero farlo al suo posto, ritenendoli inaffidabili.

Il nome di Di Giacco era comparso anche in vecchie indagini della Dda. A lui era intestata la Fiat Panda nera che il primo settembre 2009 era stata notata dai carabinieri nei pressi del santuario di Polsi dove, come emerso nella maxi-operazione "Crimine", ci sarebbe stata una riunione di 'ndrangheta con il capo crimine Domenico Oppedisano e con i boss di tutta la Provincia.

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