Violenze, estorsioni e interessi economici delle curve milanesi emergono dalle motivazioni della sentenza Doppia Curva, che cita anche il ruolo dei due rapper. Bagarinaggio e parcheggi tra le attività delle tifoserie: la figura del calabrese legato ai clan Giuseppe Caminiti
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La bomba mediatica è esplosa qualche ora dopo l’incontro di Fedez ed Emis Killa con circa 80 detenuti del carcere di Monza. Un progetto di Orangle Records: la musica come strumento di confronto, rielaborazione e autoconsapevolezza. I nomi dei due rapper, però, compaiono tra le 300 pagine della sentenza del processo Doppia Curva: relazioni pericolose con le frange criminali del tifo milanista.
C'era un «legame» tra l'ormai ex capo della Curva Sud milanista, Luca Lucci, e il rapper Fedez, i quali «condividevano un progetto economico», e tutto ciò rientrava nell'ambito di «una strategia vera e propria del gruppo» ultrà, che, oltre ad una «inquietante vocazione all'aggressione», alle violenze e ai business illeciti, aveva «collegamenti con settori del mondo dello spettacolo», ad esempio pure attraverso «funzioni di 'guardia del corpo' di noti personaggi dello showbusiness». Lo scrive la gup di Milano Rossana Mongiardo nelle motivazioni della sentenza sul caso «doppia curva». Giudice che cita anche la vicenda, contenuta nelle imputazioni, della «spedizione punitiva» e del pestaggio del 22 aprile 2024 ai danni del personal trainer Cristiano Iovino, a cui «partecipavano» Fedez e Cristian Rosiello, ultrà rossonero «in veste di suo bodyguard».
Il rapper, non indagato nell'inchiesta Doppia curva, ha ottenuto l'archiviazione nel procedimento per rissa. Lucci, interrogato in aula nel processo, ha «riconosciuto di intrattenere affari con Fedez anche in relazione alla discoteca 'Old Fashion' di Milano» e ha ammesso di aver «favorito una soluzione transattiva in merito all'episodio occorso ai danni di Iovino» che non denunciò. Il «prestigio» conquistato con la violenza da Lucci, detto «Il Toro», spiega la gup, poteva «favorire negli affari» sia lui stesso che «i suoi accoliti». La stessa giudice ricorda come Lucci avesse messo in piedi anche la catena di barberia 'Italian Ink' e uno dei negozi, tra l'altro, era anche gestito da «Emiliano Giambelli (in arte Emis Killa)», rapper, tra l'altro, indagato in un filone di inchiesta sulle curve ancora aperto.
La strategia di infiltrazione della ’ndrangheta
Nelle quasi 300 pagine delle motivazioni la giudice ripercorre le «infiltrazioni della 'ndrangheta» nel «mondo del tifo organizzato» considerato dai clan «ulteriore terreno fertile nel quale affondare le proprie radici» e «produrre introiti», anche per le famiglie dei detenuti. La presenza di Antonio Bellocco «a Milano», poi ucciso da Andrea Beretta, spiega la giudice, non fu «iniziativa individuale» ma una «strategia di infiltrazione da parte del gruppo familiare mafioso» nella curva interista. E finalizzata «sia alla protezione esterna» che alla «massimizzazione dei profitti economici».
Nelle motivazioni, tra gli altri, viene evidenziato, in particolare, il ruolo di Giuseppe 'Pino' Caminiti, legato alla 'ndrangheta e condannato a 5 anni. E oltre alla ricostruzione del «patto di non belligeranza» per gli affari tra i capi ultrà interisti e milanisti, nelle motivazioni vengono messi in fila i vari business dei due gruppi ultrà, dal bagarinaggio sui biglietti, anche per le partite 'chiave' di Champions, fino al merchandising e ai parcheggi attorno allo stadio. Tutto ciò oltre alle estorsioni, alle violenze nei confronti degli stewards e degli altri ultras.
La giudice ha anche riconosciuto risarcimenti a carico degli imputati, per danni patrimoniali e di immagine, a favore delle parti civili Lega Serie A, con l'avvocato Salvatore Pino, Inter, con gli avvocati Francesco Mucciarelli, Adriano Raffaelli e Caroline Hassoun, e Milan, con il legale Enrico de Castiglione. Le difese, tra cui i legali Mirko Perlino e Jacopo Cappetta, hanno già annunciato i ricorsi in appello.


