Il gup del Tribunale di Vibo Valentia, Roberta Ricotta, ha depositato le motivazioni con le quali il 2 luglio ha deciso per la dichiarazione di non luogo a procedere nei confronti di Gilberto Floriani, 77 anni, e dei figli Emilio, 44 anni, Giuseppe, 48 anni, e Gabriele Floriani, 36 anni, tutti di Vibo Valentia, oltre che per Valentina Amaddeo, 44 anni, di Vibo, tutti indagati per il reato di indebita destinazione di denaro. Lo stesso giudice ha poi deciso per il non luogo a procedere nei confronti del solo Gilberto Floriani per il reato di peculato “poiché gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”. Il procedimento penale nasceva dall’inchiesta della Guardia di finanza, coordinata dalla Procura di Vibo Valentia, che mirava a far luce sulla gestione del Sistema bibliotecario vibonese, il più grande polo adibito a biblioteca della Calabria.

Le contestazioni

Secondo l’ipotesi accusatoria, gli imputati dovevano rispondere, in concorso tra loro, del reato di indebita destinazione di denaro (314 bis del codice penale)per essersi appropriati di somme di denaro di cui avevano la disponibilità per ragioni di servizio, destinandole ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità”. Il gup fa quindi osservare che la prospettazione accusatoria “scaturisce dall’analisi di alcune delibere assunte dall’amministrazione del Sistema bibliotecario vibonese aventi ad oggetto il conferimento di incarichi o l’instaurazione di rapporti di lavoro a tempo determinato in favore di alcuni membri del nucleo familiare di Gilberto Floriani”. Più precisamente, dall’analisi della documentazione acquisita, “emergerebbe che Gilberto Floriani – a cui sarebbe riferibile la direzione e la gestione di fatto dell’ente – per il tramite del direttore amministrativo, Valentia Amaddeo, disponeva delle risorse del Sbv in favore dei figli di Floriani, in violazione delle procedure di assunzione del personale e di conferimento degli incarichi previsti dalla legge e, tra l’altro, in conflitto di interessi”.

Nuovo reato più restrittivo

Il giudice nel motivare i proscioglimenti degli imputati si sofferma in primis sulla soppressione del reato di abuso d’ufficio (articolo 323 del codice penale) “richiamato nel capo d’imputazione” e originariamente contestato agli indagati, sostituito nel 2024 dall’introduzione dell’articolo 314 bis del codice penale che disciplina il reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili. “Secondo l’orientamento emerso nella giurisprudenza di legittimità a seguito dell’abrogazione del reato di abuso d’ufficio, richiamato nel capo di imputazione, il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili sanziona le condotte distrattive dei beni indicati che, nella disciplina previgente, la giurisprudenza di legittimità inquadrava nella fattispecie abrogata dell’abuso d’ufficio”. Tuttavia, il giudice fa notare in sentenza che “il reato di abuso d’ufficio e quello di indebita destinazione di denaro, pur avendo in comune diversi elementi di fattispecie – soggetto attivo, evento, dolo intenzionale, violazione di norme di legge da cui non residuano margini di discrezionalità – si differenziano perché mentre nell’abuso d’ufficio l’atto del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio doveva essere compiuto genericamente nello svolgimento delle funzioni o del servizio, nel nuovo reato di indebita destinazione esso deve essere compiuto nello svolgimento di particolari funzioni o di un particolare servizio, in cui sia compreso il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui”. Sempre il gup delimita ancor meglio l’operatività restrittiva del nuovo reato di indebita percezione di denaro che non permette di punire più penalmente condotte prima rientranti nell’abuso d’ufficio. “Il soggetto attivo del nuovo reato di cui all’articolo 314 bis – indebita destinazione di denaro – non è eterogeneo rispetto a quello abrogato dell’articolo 323 cp, ovvero l’abuso d’ufficio, ma delimitato in maniera più restrittiva poiché deve essere un soggetto che, oltre ad avere i poteri del pubblico ufficiale o le caratteristiche dell’incaricato di pubblico servizio, deve anche avere il possesso o la disponibilità di denaro”.

Nessun reato perseguibile

Fatte tali necessarie puntualizzazioni in diritto sulla differenza tra i due reati (l’abrogato abuso d’ufficio e il nuovo delitto di indebita percezione di denaro), per il giudice nel caso in esame “il compendio investigativo non consente di ritenere sussistente la fattispecie contestata in quanto mancherebbe in capo a Gilberto Floriani quella particolare funzione o quel particolare servizio che gli consentiva di avere il possesso o comunque la disponibilità del denaro dell’ente”. Dalla documentazione acquisita risulta infatti che Gilberto Floriani “ricopriva il ruolo di direttore sin dall’istituzione del Sistema bibliotecario vibonese e sino all’8 giugno 2017. Successivamente, l’assemblea dei sindaci, con propria deliberazione, scindeva la figura del direttore in due nuove figure: il direttore amministrativo e il direttore tecnico-scientifico. A parere degli investigatori, l’avvenuto “sdoppiamento della figura di direttore sarebbe illegittimo e funzionale a giustificare la presenza nell’organo direttivo e di gestione del Sbv di Gilberto Floriani che ha dunque continuato a condizionare le scelte e la complessiva gestione del Sistema bibliotecario”. Tuttavia, secondo il giudice Roberta Ricotta, tale conclusione a cui arriva la pubblica accusa, in mancanza di altri elementi, appare neutra e priva di valenza dimostrativa di una gestione di fatto dell’ente da parte di Gilberto Floriani, attesa la presenza di organi sovraordinati – con funzioni gestionali – che si sono succeduti negli anni e che non hanno mai rilevato ingerenze in tal senso”. Ne consegue che, “in mancanza di riscontri oggettivi, la ricostruzione della figura di Gilberto Floriani quale gestore di fatto del Sbv appare frutto di una mera congettura investigativa non supportata da alcun elemento concreto, neppure di natura indiziaria. Non può, pertanto, essere condivisa – sottolinea il giudice – la prospettazione accusatoria secondo cui Gilberto Floriani, attraverso la Amaddeo, disponeva delle risorse dell’ente a beneficio dei familiari in quanto gestore di fatto del Sbv”. Inoltre, in punta di diritto la nuova fattispecie di indebita destinazione – rimarca ancora il giudice – punisce solo le condotte di abuso distrattivo di fondi pubblici, cioè quelle consistenti nel mero mutamento della destinazione di legge del denaro pubblico, pur sempre compatibile con i fini istituzionali dell’ente”. Ed anche in questo caso, spiega il gup, “non vi è alcun elemento che consenta di vagliare se vi sia stata una destinazione ad un diverso uso dei fondi pubblici, poi utilizzati per il conferimento di incarichi individuali a soggetti esterni al Sistema bibliotecario vibonese”. Per il giudice mancano quindi “gli elementi costituivi della fattispecie contestata a tutti gli imputati” e da qui la sentenza di non luogo a procedere “perché il fatto non sussiste” in relazione alla contestazione di indebita destinazione di denaro.

Il proscioglimento dal peculato

Per quanto attiene invece all’ipotesi di reato di peculato, contestata al solo Gilberto Floriani, il giudice ritiene che “gli elementi acquisiti lasciano più di un dubbio sulla sussistenza della fattispecie di appropriazione indebita”. Manca infatti in capo a Gilberto Floriani “il riconoscimento di un autonomo potere gestionale e di spesa ed in mancanza della dimostrazione dell’illegittimità delle singole voci di spesa non è possibile affermare che le stesse siano state destinate a finalità esclusivamente private”. Da qui il non luogo a procedere in relazione all’ipotesi di peculato poiché “gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna”.

Parti offese nel procedimento penale figuravano: il Comune di Vibo (che aveva deliberato con apposita delibera della Giunta la costituzione di parte civile), la Regione Calabria, Mariateresa Marzano e Cristian Montesano. Emilio Floriani era assistito dagli avvocati Danilo Iannello e Maria Caterina Inzillo, mentre gli altri Floriani erano assistiti dagli avvocati Danilo Iannello e Giacinto Inzillo. Valentina Amaddeo era invece difesa dagli avvocati Giosuè Monardo e Giovanni Vecchio.