Un’infermiera tra le prime a soccorrere il piccolo Rocco: «Scena straziante». Il padre del bambino: «Sono sceso scalzo per le scale, l’ho preso tra le braccia, gli ho avvolto la testa in una felpa»
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Nel riquadro, l’infermiera che per prima ha soccorso l’undicenne.
È ricoverato in terapia intensiva al Bambino Gesù di Roma in coma farmacologico, l’undicenne originario di Acri precipitato martedì mattina dal terzo piano di un bed and breakfast nella zona Tiburtina. Le sue condizioni restano gravi ma stabili. Rocco è intubato e sottoposto a supporto rianimatorio avanzato.
Tra i primi a soccorrerlo c’è stata Laura, infermiera con 19 anni di esperienza tra pronto soccorso e ambulanza: «Ieri stavo lavorando nel mio poliambulatorio a pochi passi dal luogo dell’incidente, e mi è venuto a chiamare un ragazzo dicendo che un bambino era caduto dal terzo piano – racconta in un video l’infermiera – . Inizialmente pensavo di aver capito male, anzi speravo di aver capito male, invece purtroppo era vero. Sono subito corsa con la cassetta del pronto soccorso, avrò fatto 50-60 metri di corsa».
Laura ha prestato i primi soccorsi controllando i parametri vitali e posizionando un accesso venoso: «Non si augura veramente a nessuno di vedere una scena del genere – afferma l’infermiera - è qualcosa di grosso, qualcosa che va oltre, qualcosa di straziante e inimmaginabile. Ho applicato una flebo e ho cercato di tenere ferma la testa di Rocco – aggiunge –, che aveva spasmi involontari già derivanti dal trauma cranico». Dopo pochi minuti sono arrivati i colleghi del 118 per stabilizzarlo e trasportarlo in ospedale.
I genitori del bambino, Enrico e Santina, hanno raccontato quei drammatici istanti: «Si era seduto sul bordo del balconcino, dando le spalle al vuoto – dice la mamma del piccolo –. Gli ho detto di rientrare, poi l’ho visto cadere nel vuoto. Ho tentato di afferrarlo, ma è stato inutile». E ancora: «Ho visto la caduta, Rocco con un colpo di reni è riuscito in un certo senso a deviare la traiettoria andando a impattare su un furgone. Probabilmente questo ha limitato i danni». Il papà del piccolo aggiunge: «Nostro figlio gioca a calcio, fa il portiere nella squadra della nostra città. Credo che il suo istinto in qualche modo lo abbia aiutato. Ma è lunga, non so come ne uscirà».
Papà Enrico – che ieri mattina è stato anche ascoltato in Questura – non riesce a togliersi dalla mente quei terribili istanti: «Ho sentito l’urlo di mia moglie mentre ero in camera da letto, e quasi nello stesso istante il tonfo. Sono sceso scalzo per le scale, l’ho preso tra le braccia, gli ho avvolto la testa in una felpa, gli parlavo. Era cosciente, ma aveva sangue dappertutto».