L’intervista

Migranti, dal porto di Sfax inizia il viaggio della speranza (o della morte) di migliaia di persone verso l’Europa

ESCLUSIVO | Intervista a Gianfranco Macrì, ordinario di Diritto interculturale e delle religioni all’università degli studi di Salerno: «In molti avevano previsto quanto sta succedendo, ma in tanti hanno preferito voltarsi dall’altra parte anche in virtù dei rapporti commerciali molto stretti tra paesi europei e Tunisia»

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di Francesco Rende
27 marzo 2023
06:30

Il nostro viaggio inizia a Sfax, importante centro portuale e seconda città di una Tunisia che in questi mesi ribolle come non mai. Lo stato nordafricano, che si affaccia sul Mediterraneo a pochissima distanza dalle coste italiane e maltesi, vive una crisi mai affrontata prima, tra la stretta di potere del presidente Saied e la pressione delle ondate migratorie. Una pressione alla quale il presidente Saied ha risposto scatenando un’offensiva contro le popolazioni subsahariane che ha portato a violenze e uccisioni nelle principali città tunisine, condannate dalle principali agenzie internazionali.

Saied, che governa dall’ottobre del 2019 e che a luglio del 2022 ha vinto un referendum per l’adozione di una nuova costituzione che ha portato il paese verso un iperpresidenzialismo, con conseguenti accuse di una deriva pesantemente autoritaria. Solo un mese fa ha scatenato l’odio razziale con una serie di pesanti dichiarazioni. Il 21 febbraio 2023 il presidente tunisino Kais Saied durante una riunione del Consiglio per la Sicurezza Nazionale aveva parlato di «orde di migranti irregolari provenienti dall’Africa subsahariana provocando violenza, crimini e comportamenti inaccettabili», definendo questo processo «una situazione innaturale, parte di un disegno criminale per cambiare la composizione demografica» e fare della Tunisia «un altro stato africano che non appartiene più al mondo arabo e islamico». 


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Queste parole hanno scatenato violenze e aggressioni razziste in diverse città tunisine: il presidente Saied, nonostante i duri attacchi di tutte le diplomazie internazionali (addirittura la Banca Mondiale ha sospeso gli aiuti al paese finché non si metterà fine alle violenze) e le proteste delle opposizioni, sta però continuando nella sua battaglia ai migranti, che di conseguenza stanno adesso organizzandosi per partire in massa. Se ne sono accorte le diplomazie internazionali e anche il premier Giorgia Meloni, nel summit che precede il Consiglio Europeo di fine marzo, ha richiesto «un impegno straordinario per evitare che dalla Tunisia arrivino 900 mila migranti in pochissimo tempo».

Sono tante le testimonianze di queste violenze, che colpiscono anche chi vuole abbandonare il paese: tra le tante segnalazioni delle Ong operanti in quel territorio, qualche settimana fa fece scalpore la storia di una serie di imbarcazioni partite dalla Tunisia che vennero intercettate dalla Guardia Costiera tunisina, che secondo le denunce sequestrò loro i motori e lasciò le imbarcazioni alla deriva, picchiando chi aveva provato a ribellarsi.

«Instabilità e governo autoritario»: Gianfranco Macrì spiega cosa succede in Tunisia

«Purtroppo in molti avevano previsto quanto sta succedendo in questi mesi, ma in tanti hanno preferito voltarsi dall’altra parte anche in virtù dei rapporti commerciali molto stretti tra paesi europei, Italia in primis, e Tunisia». 

A spiegare cosa sta succedendo tra Tunisi e Sfax è Gianfranco Macrì, ordinario di Diritti Interculturale e delle religioni all’Università degli Studi di Salerno, che ha studiato a fondo gli assetti dei paesi del Mediterraneo e le loro mutazioni. L’Università di Salerno, infatti, ha un osservatorio sulla cooperazione in quell’area ed ha studiato a fondo quello che è successo in Tunisia dal 2022 ad ora, con il lancio del referendum consultivo ed il varo della nuova costituzione. 

«La Tunisia ha adesso un nuovo assetto che connota il sistema in chiave certamente più autoritaria - spiega Macrì - la nuova costituzione segna dal punto di vista della forma un governo certamente iperpresidenzialista, perché la precedente svolta (quella del 2014, a ridosso della primavera araba, ndr) era una costituzione che era stata realizzata sull’onda delle manifestazioni di piazza e si pensava che il passaggio ad una forma di semipresidenzialismo moderato, con una forza maggiore del Parlamento, avrebbe potuto garantire al paese una maggiore sicurezza. Per lunghi anni infatti il paese ha goduto di governabilità e libertà civili diffuse, anche in relazione alla lotta contro l’estremismo jihadista»

La Tunisia, l’emergenza Covid e l’avvento al potere di Kais Saied

Tutto è cambiato nel 2020, quando il Covid ha colpito pesantemente la Tunisia: «Quello tunisino - spiega Macrì - era un sistema sanitario ridotto a pezzi, annichilito, e la Tunisia è un paese tra quelli che ha avuto il maggior numero di morti in rapporto alla popolazione. La mobilità sociale dopo questa crisi è stata praticamente azzerata, ci sono tantissimi giovani anche plurilaureati costretti a fare lavori di fortuna ed in questo scenario Saied ha trovato una sponda fertile per costruire il suo consenso. Ha conquistato l’elettorato promettendo una sorta di Mani Pulite per la Tunisia, promettendo di passare dalla disperazione alal speranza, ma sin da subito si è capito tra gli osservatori che la deriva autoritaria era dietro l’angolo. Nel 2022 si è tenuto questo referendum costituzionale, senza quorum, che ha consentito a Saied di prendere pieno potere e di interrompere quel percorso democratico che si era costruito dal 2014 in poi, accentrando tutti i poteri nelle mani del presidente Saied».

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Quello che sta accadendo adesso, spiega Saied, è che la Tunisia è diventata una polveriera: «Da un lato le dichiarazioni di Saied, che sta attuando politiche di palese discriminazione verso le popolazioni del centro Africa, anche perché le realtà maghrebine hanno una dimensione religiosa diversa pur essendo a maggioranza musulmane entrambe, si è creato una sorta di razzismo anche tra le stesse religioni. Dall’altro lato, ci sono giovani e giovanissimi a cui non va bene questa situazione: ai tempi della primavera araba iniziavano a fare le scuole dell’obbligo, sono cresciuti al riparo dalla propaganda islamista e hanno goduto di libertà civili e sociali e vogliono ribellarsi a queste forme di autoritarismo. La nuova carta costituzionale dice che la libertà religiosa non deve disturbare la pubblica sicurezza e il presidente dovrà essere musulmano, nato e cresciuto in Tunisi: come fa chi è cresciuto in un contesto moderato ad accettare tutto questo?»

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Uno dei paesi più esposti, non solo commercialmente ma anche e soprattutto dal punto di vista delle conseguenze dell’instabilità in quell’area, è proprio l’Italia: «Il problema è che serve una risposta coordinata di tutta l’Europa, l’Italia da sola può fare poco anche se i contatti diplomatici e le visite istituzionali sono continue. Anche il commissario Gentiloni ha visitato qualche giorno fa la Tunisia, ma non basteranno interventi economici a risolvere la situazione. Il paese non ha bisogno solo di finanziamenti ma anche e soprattutto di riforme: è un paese segnato da corruzione, burocrazia, speranze deluse. La Nuova Agenda per il Mediterraneo, varata nel 2021, non ha nessuna attuazione in questa Tunisia ed ora si è aggiunta la deriva autoritaria. Senza provvedimenti, sarà davvero difficile avere stabilità»

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