‘Ndrangheta

Le motivazioni del processo Mandamento Jonico: i collegamenti tra i clan di Reggio Calabria e la Locride

I giudici illustrano la sentenza d’Appello che nell’aprile dello scorso anno decretò 29 condanne e 4 assoluzioni. Fondamentale il materiale investigativo raccolto con altre due operazioni, Crimine e Reale

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di Vincenzo Imperitura
8 febbraio 2023
21:41
Il tribunale di Reggio Calabria
Il tribunale di Reggio Calabria

C’è una parte rilevante della storia criminale della fascia jonica reggina, nelle 1500 pagine con cui il Tribunale di Reggio motiva la sentenza d’Appello che nell’aprile dello scorso anno decretò 29 condanne e 4 assoluzioni nell’ambito del processo in abbreviato scaturito dall’indagine Mandamento Jonico. «Un procedimento che costituisce lo sviluppo e la rielaborazione critica di una serie di prove di natura tecnica – scrivono i giudici – già in possesso degli inquirenti da molti anni e tratte in via principale dai processi celebrati in questo distretto e meglio conosciuti come Crimine e Reale, che sono state esaminate con un certo ritardo, essendo state costituite da una mole davvero impressionante di intercettazioni telefoniche ed ambientali, alcune delle quali in precedenza non erano mai state prese in considerazione».

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La lavanderia del “Mastro” Giuseppe Commisso a Siderno e la casa a Bovalino di Giuseppe Pelle: è attraverso il riascolto e l’analisi di tante intercettazioni captate all’interno dei “fortini” dei boss che gli inquirenti sono riusciti a ricostruire le dinamiche criminali di una porzione di Calabria che lega, attraverso la costa jonica, il Capoluogo alla Locride. Reggio e Africo, Locri e Platì. E ancora San Luca, Bova, Melito: nella maxi indagine della distrettuale antimafia dello Stretto sono rimaste invischiate molte delle Locali più influenti della zona. Un processo “monstre” – che nel filone in ordinario ha determinato 34 condanne, per un totale di quasi 500 anni di reclusione, 30 assoluzioni e nove casi di avvenuta prescrizione – che si è basato anche sulle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia. Tra loro anche quella di Antonio Cataldo che, da Torino, avrebbe tenuto i rapporti con la cellula madre in Calabria e che proprio durante questo procedimento ha deciso di iniziare il suo percorso di collaborazione.


«Un’inchiesta ambiziosa e complessa – scrivono i giudici – che ha avuto il pregio di non trascurare alcune posizioni di natura associativa che, se non adeguatamente analizzate con gli approfondimenti successivi che sono sfociati in ulteriori processi, oggi già passati in giudicato, non sarebbero mai state prese in considerazione». Una sostanziale conferma dell’unitarietà della ‘ndrangheta stabilita dalle precedenti sentenze Crimine, Reale e Infinito e che ribadisce il potere esercitato dal crimine organizzato sul territorio. Potere che le cosche esercitano attraverso la forza e la violenza: «è evidente come la ‘ndrangheta del mandamento jonico - scrive la Presidente Olga Tarzia – unita sotto l’autorità della Provincia e del Crimine, operasse in piena sinergia e le armi reperite da un gruppo criminale divenivano a disposizione della mafia della zona tirrenica, così come di quella jonica senza soluzione di continuità tra i clan mafiosi aderenti».

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