Ennesimo danneggiamento a una realtà che opera da oltre 21 anni su terreni confiscati alla criminalità a Gioia Tauro. Il presidente Fazzari: «Si può lavorare in Calabria con i frutti della nostra terra. Ma la cultura mafiosa ci costringe ad andare via»
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Negli ultimi giorni, la cooperativa sociale “Valle del Marro - Libera Terra” è stata colpita da un ennesimo grave danneggiamento. Dopo gli incendi subiti durante l’estate scorsa agli ulivi e ai campi di grano, questa volta ad esser preso di mira da ignoti è toccato ad un agrumeto confiscato alla ‘ndrangheta in località Sovereto a Gioia Tauro. Gli operatori della cooperativa hanno denunciato ai Carabinieri il furto di 180 quintali di arance di pregio, navel biologiche, pronte per essere raccolte. Un duro colpo che ha compromesso il lavoro svolto e ha distrutto mesi di fatica e dedizione.
Questa cooperativa, da oltre 21 anni impegnata nella Piana di Gioia Tauro per promuovere legalità democratica e inclusione socio-lavorativa sui terreni confiscati alle cosche, è riconosciuta come un esempio di lotta contro la mentalità mafiosa. I danni arrecati non si limitano a una semplice perdita economica, ma colpiscono anche il tessuto sociale che unisce volontari, soci e sostenitori. La cooperativa rappresenta una speranza per molte persone, e il furto nei loro campi è un attacco diretto ai valori di solidarietà e legalità.
«I furti sono stati due e avvenuti, secondo noi, di giorno, poiché è impossibile raccogliere di notte le arance – spiega ai nostri microfoni il presidente della cooperativa, Domenico Fazzari -. Sicuramente è stato un gruppo di persone andato sul posto, perché si tratta di una quantità importante. Questo è il periodo cruciale, della raccolta. Va ad appesantire una situazione già non facile. Sono impianti che abbiamo ereditato, potato, curato, nel corso degli anni. Abbiamo denunciato come facciamo sempre, però questa è l'ennesima prova che c'è un'attenzione da parte di chi non vuole che queste realtà vadano avanti.
Chiediamo alle istituzioni che non si abbassi mai la guardia sull'uso sociale del bene confiscato, perché è uno strumento eccezionale di lotta contro la cultura mafiosa. Chiediamo il massimo sostegno da tutti i punti di vista, sociale, economico, imprenditoriale. Realtà come la nostra devono poter continuare a fare le loro azioni, per provare a creare una cultura alternativa. Il messaggio che vogliamo lanciare è che i calabresi possono lavorare in Calabria, possono vivere con i frutti della loro terra. Con la cultura mafiosa che opprime la libera iniziativa, purtroppo, siamo costretti ad andare via».


