La 'ndrangheta non dimentica né perdona. È chiaro che la scelta di collaborare con la giustizia ha avuto un prezzo alto, che continua a pesare sulla vita dell’imprenditore reggino Gaetano Caminiti, da oltre trent’anni costantemente nel mirino dell’organizzazione criminale.

L’ex testimone di giustizia ha presentato una nuova denuncia per minacce riconducibili alla 'ndrangheta, segnalando il clima costante di intimidazione che lo accompagna sin da quando ha deciso di affidarsi allo Stato.

La consegna è avvenuta il 28 aprile scorso. Una missiva anomala consegnata dal postino nel suo esercizio commerciale, contenente minacce di morte e simboli inquietanti. La nota, scritta a mano, recitava chiaramente: "Morto parlanti che camina apri l'occhi si mortu" – una frase di chiara intimidazione, accompagnata da tre croci disegnate.

Questa non è una situazione isolata. L’ex testimone ha più volte ricevuto messaggi minacciosi nel corso degli anni, e l’ultima comunicazione di questo tipo lo aveva spinto a rivolgersi alle forze dell’ordine lo scorso 13 dicembre 2024, con una denuncia ufficiale. Insieme al suo avvocato, ha anche sollecitato, dopo 7 anni, il ripristino della scorta che in passato era stata affidata a lui, cercando una maggiore tutela e protezione contro le intimidazioni provenienti dalla criminalità organizzata calabrese.

Purtroppo, ad oggi, le richieste avanzate alle istituzioni non hanno ancora trovato riscontro concreto. La mancanza di tutela adeguata mette a rischio la sicurezza di colui che si è messo dalla parte della legge, evidenziando una criticità nel sistema di protezione dei testimoni di giustizia. La storia di questo ex collaboratore rappresenta un elemento di allarme: la 'ndrangheta continua a utilizzare intimidazioni e minacce per mantenere il controllo e sottomettere chi osa opporsi alle sue attività.

L’episodio conferma quanto sia difficile per chi decide di collaborare con lo Stato sentirsi davvero protetto, di fronte a una realtà criminale così radicata e spietata. Caminiti non cela preoccupazione per la sua stessa vita e si dice pronto a chiudere la sua attività e andarsene «in libertà e dignità». Chiede accoratamente di rafforzare le misure di tutela e di garantire che chi denuncia non sia lasciato solo di fronte a un ostacolo così grave come le intimidazioni mafiose. Pur non essendo stato avvicinato da nessuno Caminiti ha le idee chiare sulla provenienza di questi continui segnali. La mafia non dimentica e Caminiti questo lo ha imparato sulla sua pelle: «Sono sempre gli stessi soggetti che io ho fatto arrestare anni addietro, ma questo è solo un mio pensiero».

Anni di denunce nei confronti della criminalità organizzata reggina, assumendo «quanto mai legittimamente lo status di Testimone di Giustizia, così come riconosciuto dalle Autorità Istituzionali nazionali; che, tantissimi sono stati gli episodi intimidatori consumati nei confronti del deducente, tutti regolarmente denunciati alle Autorità competenti; che, per questi motivi, ex ante, è stata assegnata l’opportuna tutela di quarto livello, a protezione dello stesso; che, altresì, si è attivato un opportuno servizio di scorta ex post revocato per “mancanza di elementi concreti ed attuali in ordine all’esposizione al rischio”».

Adesso i motivi sembrano essere tornati a galla. Caminiti nella frazione di Pellaro, ha gestito fino a pochi anni fa una sala giochi, e dalle sue denunce sono scaturite anche operazioni di polizia come “Gambling”, “Las Vegas” e “Casco”. In due occasioni hanno tentato di ammazzarlo, sparandogli contro alcune pistolettate che per pura coincidenza l'hanno graziato. Caminiti ha collaborato anche nell'operazione Azzardo, da dove «suppongo che ancora ad oggi partono le minacce».