Relazioni pericolose

Ombre di ’ndrangheta sui voti alla lista di Toti, le accuse della Dda e l’invidia degli alleati: «I calabresi sono più uniti di noi»

Le accuse di corruzione elettorale a uno dei re delle preferenze in Liguria e le intercettazioni dei suoi competitor: «Questo ha tirato fuori tanti soldi». Dai brogliacci dell’inchiesta emergono i rapporti con Luigi Mamone, deceduto (da incensurato) nel 2021 e considerato vicino ai clan di Cittanova

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di Pablo Petrasso
10 maggio 2024
11:03
Giovanni Toti
Giovanni Toti

Liguria, 22 settembre 2020: il forzista Maurizio Testa, indagato per corruzione elettorale aggravata nell’inchiesta che ha portato all’arresto del governatore ligure Giovanni Toti, commenta con un pizzico di invidia l’exploit elettorale di un candidato della lista Cambiamo con Toti. Domenico Cianci, 67enne di Rapallo, diventa consigliere regionale grazie a 4.564 preferenze: è il terzo più votato nel movimento che fa capo al presidente della giunta regionale. Angelo Testa, che come il fratello Maurizio (entrambi sono stati sospesi da Fi dopo lo scoppio della bufera giudiziaria) ha solide radici in Forza Italia ed è accusato di aver avuto contatti con famiglie di Cosa nostra, offre la propria chiave di lettura per il successo elettorale dell’alleato-concorrente: «Ha visto – spiega – una settimana fa Sorte mi disse “quello sta viaggiando bene a Chiavari, prenderà più preferenze”… i calabresi sono forti».

Il commento di Maurizio è ancora più esplicito: «Sai perché – dice a un suo interlocutore –? Questo ha tirato fuori tanti soldi e poi i calabresi sono molto uniti, più uniti di noi».


Cianci è indagato per corruzione elettorale aggravata dall’aver favorito la ‘ndrangheta, in particolare la cosca Raso-Gullace-Albanese, che ha ramificazioni in Liguria.

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Avrebbe, secondo i pm della Dda di Genova, chiesto voti in cambio dell’affidamento di lavori alla ditta riconducibile a Luigi Mamone, poi deceduto nel 2021. I magistrati mettono in fila e contestano sei episodi al re dei consensi e uomo forte di Toti: in quelle circostanze, Cianci avrebbe promesso appalti, posti di lavoro e vari favori, alcuni connessi alla propria attività: uno studio per la gestione di amministrazioni condominali attivo dal 1979. La sua passione politica lo ha portato ininterrottamente nel consiglio comunale di Rapallo dal 1990 al 2012.

È dopo il voto del 20 e 21 settembre 2020 che gli investigatori captano «alcune conversazioni dalle quali è emersa la conferma dei contatti di Cianci con l’ambiente calabrese e, in particolare, con Luigi Mamone, nato a Cittanova nel 1936 e deceduto nel maggio 2021».

L’indagine passa in rassegna i guai giudiziari che hanno colpito i Mamone, famiglia la cui storia si incrocia da decenni con le denunce del movimento antimafia ligure. Mamone, va detto, è deceduto da incensurato. Ciononostante, gli atti firmati dai pm antimafia indugiano sui legami della sua famiglia con settori legati alla ’ndrangheta. Arrivati dal Reggino, sin dagli anni 80, i Mamone avrebbero creato «una realtà imprenditoriale di rilievo in plurimi settori, tra cui l’edilizia, il movimento terra ed escavazioni, bonifiche industriali e smaltimento dei rifiuti, nei quali hanno acquisito lucrosi appalti pubblici ottenuti anche attraverso il ricorso a pratiche corruttive esercitate nei confronti di funzionari e amministratori pubblici finalizzate a turbare la libertà degli incanti per ottenere l’indebita aggiudicazione dei lavori». Il virgolettato dell’ordinanza si riferisce a una relazione annuale della Dia del 31 luglio 2019 ed è riportato in ordinanza.

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Per i rapporti tra Cianci e la famiglia Mamone, invece, l’accusa rimanda a una conversazione captata in un altro procedimento giudiziario «intercorsa nella mattinata del 20 febbraio 2021 tra Luigi Mamone» e un suo nipote. I due parlano di lavori pubblici e Luigi Mamone «fa riferimento alla necessità di parlare con Cianci se si vogliono ottenere dei lavori».

«Se vogliamo lavori, qua a Genova – dice – bisogna parlare con Cianci, perché qua a volte fanno i lavori a trattativa privata». Al dialogo partecipano anche due imprenditori di origini siciliane: la loro ditta lavora principalmente con amministrazioni condominali, proprio l’attività del politico. I due si lamentano per le poche commesse e Mamone chiede loro: «E Cianci?». Uno dei due siciliani risponde stizzito: lo considera «un calabrese fasullo», spiega di avergli «dato il voto» ma di non aver ricevuto commesse perché «lavora solo con gli albanesi e basta».

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Mamone informa i suoi interlocutori che parlerà con il consigliere regionale ma «bisogna sempre fare le cose senza prepotenza». Da parte sua ribadisce di essere vicino a Cianci («siamo amici amici» e si dice in grado «di esercitare un forte ascendente sul politico, al punto da poterne “pilotare” le scelte». «Potete dire che è un fanfarone – evidenzia – ma a me m’ha da… tutto quello che voglio mi dà. Se io vada da Cianci e ci dico: Cianci, voglio fare dei lavori qui, me ne da quanto ne voglio». Mamone dice anche di aver aiutato il politico in occasione delle elezioni: «Io l’ho aiutato, l’ho aiutato anche nelle elezioni».

Parole che gli inquirenti evidenziano anche alla luce dei rapporti tra i Mamone e la potente cosca dei Gullace, in particolare Carmelo Gullace, presente anche al ricevimento di una congiunta di Luigi Mamone. Alcuni passaggi dell’ordinanza sono riservati proprio ai rapporti tra il capostipite scomparso dei Mamone e la famiglia originaria di Cittanova che, secondo i magistrati antimafia, avrebbe costruito solide relazioni in Liguria e Piemonte. Le relazioni di Mamone, invece, lo hanno portato ad avere rapporti che definisce stretti con un politico approdato in Consiglio regionale grazie a più di 4.500 voti. Gli stessi che, almeno in parte, avrebbe ottenuto – secondo i suoi alleati e competitor di Forza Italia – perché «i calabresi sono uniti».

 

 

 

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