Nella sentenza abbreviata il giudice ricostruisce la figura di vertice dell’organizzazione mafiosa degli “Italiani”, con ramificazioni estese su tutto il territorio e legami diretti con la “confederazione” criminale cosentina
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Nel quadro tracciato dalla sentenza abbreviata del processo Reset, il nome di Francesco Patitucci emerge con forza quale vertice assoluto della consorteria criminale degli “Italiani”, con un potere che travalica le mura carcerarie e si estende sull’intero territorio cosentino. Il gup Fabiana Giacchetti, nella sua motivazione, afferma senza esitazioni che «Patitucci è, senza alcun dubbio, il capo dei capi», indicando in lui «colui che partecipava alla costituzione di una grande rete di interazione tra i vari sottogruppi ‘ndranghetistici operanti su Cosenza, divenendone il capo».
Un controllo esercitato anche durante i periodi di detenzione, che secondo la ricostruzione giudiziaria non ne indebolivano affatto l’autorevolezza criminale. Sul punto, determinanti risultano le dichiarazioni del collaboratore Noblea, che riferisce per esperienza diretta: «Patitucci era colui che comandava al carcere di Cosenza», al punto da impartire ordini «direttamente dalla finestra del carcere alla moglie Garofalo e a Illuminato».
Una versione confermata da Danilo Turboli, anch’egli ristretto nello stesso periodo, secondo cui Patitucci «era a capo della gerarchia degli Italiani» e «riceveva in carcere i soldi che costituivano i proventi di svariate attività sottoposte a estorsione».
Le parole di Noblea trovano riscontro anche nelle testimonianze di altri collaboratori, tra cui Vincenzo De Rose, Celestino Abbruzzese (attuale pentito e già esponente del clan Banana) e Luca Pellicori, tutti concordi nel descrivere episodi emblematici come il conferimento di una dote mafiosa all’interno del carcere, avvenuto per mano dello stesso Patitucci.
Un altro tassello fondamentale del mosaico ricostruito riguarda il legame tra Patitucci e la cosiddetta “confederazione” criminale cosentina. Franco Bruzzese, capo del gruppo degli "zingari", ha indicato Patitucci come «già a capo degli Italiani» e «depositario dell’elenco delle attività sottoposte a estorsione», con un ruolo centrale nella gestione e nella ripartizione dei proventi illeciti maturati nell’ambito delle attività mafiose.
La convergenza dei racconti, sottolinea il giudice, è netta: «Tutti i collaboratori si riscontrano nell’individuare Patitucci quale capo indiscusso», con Roberto Porcaro indicato da più fonti come «suo reggente durante il periodo della detenzione».
Un passaggio specifico, infine, riguarda anche il ruolo delle donne dell’organizzazione. Il collaboratore Luciano Impieri ha infatti attribuito compiti attivi alla moglie di Patitucci, Garofalo, e a Silvia Guido, che secondo la ricostruzione della Corte avrebbero avuto funzioni di raccordo operativo durante l’assenza del capo.