«Se la prostituzione diventa racket solo da Sibari a Rossano, allora un motivo dovrà pur esserci». L’interrogativo sollevato una decina di anni fa da un magistrato calabrese è ancora senza risposta. Oggi come ieri, la domanda è: chi controlla il business della prostituzione nella Sibaritide?

E’ un fenomeno che non è stato mai del tutto immortalato dalle pur numerose inchieste e operazioni di polizia che, nel corso del tempo, hanno assestato durissimi colpi alle cosche del posto.

Non a caso, di droga, estorsioni, truffe, omicidi e altre attività illecita consumate all’ombra degli agrumeti, si sa già moltissimo, se non tutto. Ma chi controlla davvero il mercato delle lucciole, per certi versi resta un enigma.

Un buco narrativo nella cronaca giudiziaria locale, dunque, dovuto in parte al “pudore” che la stessa criminalità organizzata nutre rispetto all’argomento. Si sa, la malavita ha sempre giudicato disonorevole questa attività e, da questo punto di vista, il Crimine cosentino ha pagato a lungo lo scotto di vedere parecchi suoi big provenire proprio dalle schiere degli ex lenoni.

Affermare, dunque, che le cosche della Sibaritide abbiano lucrato sulla prostituzione può sembrare persino un azzardo.

Di certo, non era un settore d’interesse di Antonio Forastefano, un boss dell’omonima cosca che, all’epoca del suo pentimento, raccontò agli investigatori di come lui e il suo sodale  Antonio Bruno alias “Giravite”, avessero dato mandato ai propri uomini di malmenare a mo’ di monito alcune lucciole, la cui presenza sulla Ss106 li infastidiva mortalmente.

I Forastefano no, quindi, ma neanche i loro vecchi arcinemici, i nomadi di Cassano, stando agli atti giudiziari che li riguardano, hanno mai battuto con successo la pista del sesso a pagamento. Il punto di domanda, dunque, resta sempre aperto: chi specula sulle mondane?

In un recente passato, sulla scena della cronaca nera si erano affacciati gruppi di albanesi in qualche modo collegati al giro della prostituzione nella Sibaritide, ma alla fine della corsa, il loro ruolo si era rivelato del tutto marginale. 

Dalle indagini, infatti, era emerso che queste bande pretendevano “solo” cinquanta euro quotidiane da ogni squillo, e che più di una tassa sulla professione, quell’obolo era una sorta di “affitto” richiesto per usufruire dell’angolo di strada prescelto per esercitare un mestiere che, alle dirette interessate (e a chi per loro) fruttava almeno trenta volte tanto al giorno.

Chi gestisce il racket del sesso sulla costa jonica? Gente come “Giravite” o Tonino “Il diavolo” appartiene ormai al passato, l’enigma invece è più che mai attuale.