Altro condannato nella maxioperazione non lascerà invece il carcere poiché coinvolto in un’ulteriore inchiesta della Dda. I profili dei personaggi interessati dalle nuove decisioni della Procura Generale e della Corte d’Appello di Catanzaro
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Continua a provocare nuove scarcerazioni la decisione della Cassazione di assolvere gli imputati di Rinascita Scott dall’aggravante dell’art. 416-bis comma 6 c. p. (cioè l’aggravante derivante dal finanziamento delle attività economiche controllate con il provento di delitti), rinviando al contempo alla Corte d’Appello di Catanzaro per la determinazione delle pene tenendo conto dell’esclusione di tale aggravante. Anche quindi dinanzi ad una sentenza definitiva per quanto riguarda la commissione del reato di associazione mafiosa, nel troncone di Rinascita Scott celebrato con rito abbreviato si registrano scarcerazioni per scadenza dei termini massimi di custodia cautelare e nel nuovo processo di secondo grado dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro (ancora da fissare) la gran parte dei condannati si presenterà a piede libero. Tali scarcerazioni vanno a sommarsi ad altre 37 decise la scorsa settimana da altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro contestualmente al giudizio di secondo grado relativo al rito ordinario di Rinascita Scott.
L’ultima scarcerazione disposta dalla Corte d’Appello interessa Luciano Macrì, 57 anni, di Vibo Marina, condannato in primo e secondo grado a 20 anni di reclusione per associazione mafiosa. In questo caso la Corte d’Appello ha accolto un’istanza presentata dagli avvocati Giuseppe Morelli e Giuseppe Zofrea. Altre tre scarcerazioni sono state invece decise dalla Procura Generale di Catanzaro e interessano: Domenico Camillò, 84 anni, di Vibo Valentia, difeso dall’avvocato Salvatore Sorbilli, Nazzareno Franzè, 63 anni, detto “Paposcia”, di Vibo Valentia, assistito dagli avvocati Antonio Barilaro e Walter Franzè, e Michele Manco, 37 anni, di Vibo Valentia, difeso dagli avvocati Barilaro e Franzè.
Nel precedente giudizio di secondo grado (sentenza del 30 ottobre 2023), Domenico Camillò era stato condannato a 15 anni e 4 mesi, con l’ultima rideterminazione della pena fissata in 10 anni di reclusione e un residuo pena da scontare di 3 anni e 11 mesi. L’ordine di esecuzione pena per imputati con posizioni simili è stato però annullato il 12 dicembre scorso dalla Cassazione e da qui la scarcerazione di Camillò (si trovava ai domiciliari) in attesa di un nuovo processo d’Appello per l’ulteriore rideterminazione della condanna.
Nazzareno Franzè e Michele Manco sono stati invece condannati nel precedente giudizio d’appello (sentenza del 30 ottobre 2023) a 12 anni di reclusione a testa. Michele Manco non lascerà tuttavia il carcere in quanto detenuto anche per altra operazione portata a termine dalla Dda di Catanzaro che ha già fatto registrare nei suoi confronti una condanna in primo grado (deve ancora essere celebrato l’appello) a 6 anni e 3 mesi di reclusione per il reato di tentata estorsione, aggravata dal metodo mafioso, ai danni delle ditte impegnate nei lavori di costruzione del nuovo ospedale di Vibo.
I profili dei personaggi
Domenico Camillò è ritenuto uno dei massimi esponenti della ‘ndrangheta di Vibo Valentia, considerato dagli inquirenti il reggente della ‘ndrina dei Pardea, detti “Ranisi”. Ad accusarlo è stato anche il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena (nipote dello stesso Camillò) che ha indicato lo zio fra i promotori (insieme al defunto Raffaele Franzè, detto “Lo Svizzero”) del nuovo “locale” di ‘ndrangheta aperto nel 2012 a Vibo. Domenico Camillò avrebbe mantenuto rapporti sia con i Bellocco di Rosarno che con Domenico Oppedisano, pure quest’ultimo di Rosarno e ritenuto il “custode” delle regole dell’intera ‘ndrangheta.
Stando al capo di imputazione, Domenico Camillò avrebbe ricoperto nella ‘ndrina dei Pardea un ruolo rappresentativo e decisionale, con il compito di mantenere l’ordine interno al sodalizio, partecipando alle riunioni del sodalizio in cui venivano assunte le decisioni più importanti. Era poi accusato di detenzione illegale di armi in concorso con il figlio Michele Camillò (divenuto collaboratore di giustizia) e con Domenico (Mommo) Macrì. Domenico Camillò era inoltre accusato di concorso in estorsione aggravata dal metodo mafioso (con Salvatore Morelli, Bartolomeo Arena, Domenico Camillò cl. ’94, Luigi Federici e Giuseppe Suriano) ai danni di Filippo e Pasquale La Scala, titolari del pub “Tribeca Bistrot”.
Sarebbe stato proprio Domenico Camillò – secondo l’accusa – a presiedere una riunione al cimitero di Vibo Valentia in cui avrebbe stabilito che doveva essere Bartolomeo Arena, mediante intercessione con Filippo La Scala, il soggetto incaricato ad ottenere un trattamento di favore (sconto sulle consumazioni) per tutti i sodali della ‘ndrina dei Pardea che si recavano nel pub di Vibo. Sempre Domenico Camillò sarebbe stato infine il soggetto che avrebbe garantito il conferimento delle “doti” di ‘ndrangheta (Vangelo e Trequartino) donate a Bartolomeo Arena.
Luciano Macrì è stato invece collocato dal collaboratore di giustizia Gaetano Cannatà di Vibo Valentia come facente parte del clan dei Pardea guidato da Domenico Camillò e Antonio Macrì. Secondo Cannatà – che ha deposto nel maxiprocesso Rinascita Scott – Luciano Macrì durante lo stato di detenzione si sarebbe tuttavia lamentato di essere stato abbandonato in carcere non ricevendo sostentamento economico dal proprio gruppo. Il collaboratore Antonio Guastalegname di Vibo Marina ha invece raccontato che tra il 2015 e il 2016 Luciano Macrì aveva contratto un debito con i nipoti di Peppone Accorinti, tanto che il boss di Zungri si sarebbe determinato a voler uccidere lo stesso Macrì il quale si sarebbe per un certo periodo nascosto fingendo addirittura di essere rimasto vittima della lupara bianca.
Nazzareno Franzè è stato invece condannato quale componente del clan Lo Bianco-Barba e del “locale” di ‘ndrangheta di Vibo Valentia. Sul suo conto hanno reso dichiarazioni i collaboratori di giustizia Andrea Mantella e Bartolomeo Arena. Le attività di indagine dei carabinieri del Ros hanno poi appurato la presenza di Nazzareno Franzè ad un pranzo tenuto a Vibo Valentia il 25 gennaio 2018 a casa di Antonio Lo Bianco (cl. ’48), un summit di ‘ndrangheta importante – ad avviso degli inquirenti – svoltosi alla presenza dei maggiori esponenti del clan Lo Bianco-Barba e del cosentino Michele Di Puppo. “Nazzareno Franzè, per la carica rivestita, è tra i partecipi alle riunioni dell’agosto 2017 – ha scritto il gip nell’ordinanza di custodia cautelare – per l’organizzazione di quella natalizia finalizzata al conferimento delle doti. Nazzareno Franzè è tra i soggetti apicali che partecipa alla riunione con Vincenzo Barba, Antonio Lo Bianco, Carmelo D’Andrea e Fortunato Ceraso. Riunione che ha sia la finalità di porre fine ad una questione insorta tra Antonio Lo Bianco e Vincenzo Barba, sia a determinare i dettagli per il conferimento delle cariche”.

