Il giovane ingegnere è stato sviluppatore web per Ferrari, poi analista per Lamborghini, infine Product Manager per una multinazionale asiatica. Dopo 10 anni al Nord arriva l’illuminazione di Dritara, uno strumento pensato per accompagnare imprese e professionisti del Mezzogiorno in un percorso di crescita integrale
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Matteo Pugliese
Matteo Pugliese incarna una traiettoria esistenziale e professionale che si muove, con consapevolezza rara, tra il dentro e il fuori del Mezzogiorno, tra l’esperienza diretta di una terra complessa e lo sguardo affinato nei contesti più avanzati dell’innovazione nazionale e internazionale. Laureato in Fisica presso l’Università della Calabria, ha costruito il proprio percorso lontano dal Sud, trascorrendo dieci anni tra Modena e Milano, ovvero nel cuore pulsante dell’industria tecnologica e manifatturiera italiana, là dove il rigore del metodo scientifico si intreccia quotidianamente con la cultura del rischio, dell’impresa e dell’innovazione continua.
In questi ambienti simbolici, Pugliese ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità: prima sviluppatore web per Ferrari, poi analista per Lamborghini, infine Product Manager per una multinazionale asiatica. Un cammino professionale coerente e ascendente, maturato all’interno di organizzazioni in cui tecnologia, visione strategica e disciplina operativa non sono astratte enunciazioni, ma prassi quotidiana e criterio di selezione.
A un certo punto, però, interviene una scelta che sovverte la narrazione consueta del successo: il ritorno. Pugliese decide di rientrare a San Basile, minuscolo centro Arbëreshë della provincia di Cosenza, portando con sé non un’idea nostalgica di radici, ma un capitale di competenze, metodo e visione maturato altrove. Da questa decisione prende forma Dritara, un ecosistema digitale pensato per accompagnare imprese e professionisti del Sud in un percorso di crescita integrale, che abbraccia la formazione tecnologica, la digitalizzazione dei processi interni, la realizzazione di siti web, l’introduzione dell’intelligenza artificiale all’interno delle aziende, il coaching umano per manager e team, il supporto al recruiting di profili tech e la valorizzazione delle realtà imprenditoriali innovative attraverso attività di sponsorizzazione all’interno della community Dritara.
Vivendo quotidianamente il territorio, Pugliese intercetta ciò che spesso sfugge alla narrazione nazionale: PMI che tentano di modernizzarsi, giovani che scelgono di restare o di tornare per costruire opportunità concrete, aree interne che cercano un ruolo nella nuova economia digitale. In questo scenario, Dritara non propone soluzioni astratte né modelli calati dall’alto, ma lavora alla costruzione di una vera infrastruttura sociale e culturale, fondata su competenze, reti, metodo e fiducia. L’obiettivo dichiarato è dimostrare, attraverso il lavoro quotidiano, che la narrazione del Sud Italia può e deve cambiare.
È proprio dall’intreccio tra ritorno personale e trasformazione collettiva che nasce uno sguardo privilegiato su ciò che nel Mezzogiorno sta realmente cambiando e su ciò che, invece, ancora manca per trasformare segnali isolati in un ecosistema maturo e strutturato. A partire da questa prospettiva, abbiamo scelto di raccontare la storia di Matteo Pugliese e di interrogare la sua visione. Lo abbiamo incontrato qualche giorno fa al Gran Caffè Renzelli, in uno squarcio affascinante del centro storico di Cosenza e, avvolti dalla magnificenza della storia, abbiamo fatto una piacevolissima chiacchierata.
Dal tuo osservatorio operativo con Dritara, qual è il cambiamento più concreto nei territori del Sud che oggi non viene raccontato dai media nazionali?
«La cosa che sfugge ai più è che nel Sud non è in corso una “rivoluzione spettacolare”, ma una trasformazione silenziosa. Ogni settimana incontro PMI che decidono di digitalizzare processi, giovani sviluppatori che rientrano per lavorare da remoto, piccole comunità locali che iniziano ad usare l’AI per migliorare il proprio lavoro quotidiano. Non sono titoli da prima pagina, ma è da qui che nasce un ecosistema. Il cambiamento reale non avviene nelle conferenze, ma nelle aziende che passano da WhatsApp ai flussi strutturati, nei ragazzi che iniziano a collaborare tra loro e non più da soli in garage. Dritara vive esattamente dentro questo cambiamento: connettiamo persone, imprese e competenze e vediamo ogni giorno potenzialità che non fanno rumore, ma fanno differenza».
Lavorando a stretto contatto con PMI, startup e giovani talenti, dove vedi il principale collo di bottiglia che impedisce al Sud di trattenere capitale umano e attrarre investimenti?
«Il problema non è la qualità dei talenti. Il nodo è la percezione dell’opportunità. Se un giovane pensa che “al Sud non c’è nulla”, non investe nel proprio percorso lì. Se un investitore pensa che “al Sud non si scala”, non guarda nemmeno i progetti. E questa è una profezia che si autoavvera. Serve una massa critica di aziende che usano tecnologie moderne, servizi professionali credibili e una comunità che si riconosce. È il motivo per cui con Dritara stiamo costruendo un ecosistema, non un singolo servizio: talenti, formazione, digitalizzazione, rete. Quando metti insieme questi pezzi, il territorio smette di apparire un deserto e diventa un luogo dove stare (o tornare!) ha senso».
Quali progetti o imprese hai incontrato sul territorio che dimostrano che il Sud ha potenziale competitivo, ma manca ancora la struttura intorno per scalare?
«Nella mia esperienza il Sud è pieno di iniziative che funzionano finché restano artigianali. Penso a piccoli team tech che sviluppano prodotti ottimi ma non hanno una rete di incubatori o investitori vicini. Penso alle PMI che innovano nei processi ma non hanno un supporto stabile per evolvere. Penso a startup nate qui che, se fossero state a Milano o Torino, avrebbero trovato mentorship, capitali e clienti più rapidamente. Non cito nomi per correttezza, ma una costante è questa: la qualità tecnica non manca. Manca l’impalcatura che normalmente circonda un ecosistema maturo. È esattamente il motivo per cui stiamo costruendo Dritara come piattaforma e non come agenzia per il lavoro».
Quanto pesa, nella tua esperienza diretta, la narrazione del “ritardo” nel condizionare le scelte dei giovani e le percezioni degli investitori?
«Ha un peso enorme. La narrazione diventa infrastruttura invisibile. Se per decenni ti ripetono che sei in ritardo, finisci per crederci anche quando non è più del tutto vero. Un investitore che legge solo notizie negative non vedrà mai i segnali positivi. Un giovane che cresce con la convinzione che “qui non c’è futuro” non lo cercherà nemmeno. Bisogna cambiare la narrazione senza scadere nel trionfalismo. Questo è il punto: non serve raccontare che il Sud è perfetto, serve raccontare che sta cambiando e che ci sono persone, imprese e progetti che lavorano ogni giorno per farlo crescere. Dritara prova a fare questo: mostrare che esistono possibilità reali (che è anche il nostro tema sui social network)».
Dal tuo lavoro quotidiano, cosa emerge come priorità assoluta per trasformare innovazioni isolate in un ecosistema: formazione, cultura del rischio, reti territoriali, infrastrutture digitali?
«Tre cose, tutte molto pratiche. La prima è formazione continua: le tecnologie corrono e senza competenze aggiornate un territorio resta indietro per inerzia. La seconda è creare reti, non eventi. Reti tra imprese, tra talenti, tra professionisti. Le economie moderne funzionano quando i nodi si parlano. Bisogna puntare sui frutti del networking, e non sui fiori degli eventi senza poi un ritorno pratico. La terza è normalizzare il rischio, soprattutto nel mondo delle aziende e PMI. Innovare non significa buttarsi nel vuoto, significa testare, misurare,aggiustare (con metodo e cultura del prodotto). Questo approccio manca ancora e lo portiamo in ogni progetto Dritara».
Se dovessi scegliere un progetto simbolico che rappresenta la direzione in cui può andare il Sud nei prossimi anni, quale storia racconteresti?
«Direi proprio Dritara, ma non per autocelebrazione. Perché rappresenta un modello: un progetto nato in un piccolo paese della Calabria, costruito da chi è tornato al Sud, che unisce tecnologia, formazione, comunità e lavoro reale. Non racconta un Sud che aspetta qualcosa, ma un Sud che si organizza e costruisce. È un segnale semplice: si può fare innovazione qui, oggi, senza chiedere permesso a nessuno. Ed è proprio questo il messaggio che serve al territorio».

