’Ndrangheta e massoneria

Rinascita Scott: il sistema di potere a Vibo nella deposizione del vigile Villone

Il teste dell’accusa ha delineato in aula anni di indagini su speculazioni edilizie, massoneria e rapporti con i clan. Dal Comune ai magistrati, ecco la testimonianza di chi ha collaborato pure con il procuratore Cordova ed i servizi segreti

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di Giuseppe Baglivo
30 novembre 2022
08:40

Massoneria, gruppi di poteri, malaffare e rapporti con i clan. È stata la volta dell’ex vigile urbano del Comune di Vibo Valentia, Bruno Villone, ieri sera nel maxiprocesso Rinascita Scott. Una testimonianza importante la sua, perché va a confermare quanto dichiarato su molti altri aspetti dal collaboratore di giustizia Andrea Mantella ed anche da Luigi Guglielmo Farris sul “sistema” di potere per decenni dominante a Vibo Valentia sino all’attualità, pur cambiando per forza di cose alcuni personaggi in quello che è stato ribattezzato come “Sistema Vibo”. Sono passate le ore 20 quando Bruno Villone fa ingresso in aula per deporre nell’aula bunker di Lamezia Terme dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia presieduto dal giudice Brigida Cavasino e non sono mancati i “colpi di scena”.

Rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, il teste della pubblica accusa ha spiegato di essere stato vigile urbano al Comune di Vibo dal 1974 al 2003. “Nel corso della mia attività ha spiegato Villone – ho saputo dell’esistenza di una loggia massonica a Vibo e sono stato perseguitato da alcuni massoni semplicemente perché cercavo di fare il mio lavoro onestamente. Tutto è iniziato a metà anni ’80 quando ho denunciato alla Procura il comandante dei vigili urbani di Vibo Valentia, ma tutto è finito a tarallucci e vino. Allora ho denunciato anche il pm dell’epoca e pure l’intero collegio giudicante, ma di tali mie denunce non ho saputo più nulla. Il mio comandante Domenico Antonio Corigliano è massone, così come il mio vice. Un giorno il comandante Corigliano mi convocò al Comune e mi disse che se volevo fare carriera dovevo riferire a lui tutti gli abusi che scoprivo al mercato di Vibo oppure tutti gli abusi edilizi in città, ma non accettai tale proposta. Il capo della massoneria a Vibo era Ugo Bellantoni, un geometra, dipendente comunale. I rapporti fra me e questo gruppo di massoni sono sempre stati tesi, e mi facevano dispetti di ogni tipo sul lavoro, tanto che con un brigadiere dei vigili sono arrivato alle mani”.


I pedinamenti

Bruno Villone racconta di aver iniziato a pedinare alcuni massoni a Vibo Valentia. «Ho visto così dove avevano la sede. Agli inizi degli anni ’90 ho pedinato Ugo Bellantoni, capo massone assoluto, ed in uno di questi appostamenti lo beccai in piazza San Leoluca. Poco dopo arrivò un magistrato e i due si chiusero in una macchina a parlare. Poi sono scesi e li ho visti entrare dentro palazzo D’Alcontres, non distante dal Tribunale. La mia curiosità – ha riferito Villone in aula – mi portò ad entrare nel palazzo dalla parte esterna scavalcando un muretto e vidi che c’erano una ventina di persone, alcune delle quali incappucciate, con Bellantoni che teneva una spada sulla spalla del magistrato. Ho riconosciuto il magistrato in questione in Elio Costa che poco dopo divenne procuratore a Crotone. Ho saputo in seguito da Raffaele Portaro, ex segretario comunale, che palazzo D’Alcontres era la sede della loggia Carducci a Vibo. Portaro era un massone pulito e che per questo si era tirato fuori uscendo dalla massoneria vibonese».

Massoneria a Vibo

Bruno Villone racconta di essersi confidato circa il gruppo di potere massonico che dominava Vibo Valentia con l’allora giudice istruttore di Vibo Carmelina Russo, la prima a portare a giudizio quasi cento esponenti del clan Mancuso a metà anni ’80 a seguito di una storica retata risalente al 1984. «Ho avuto l’onore di confidarmi con lei – ha sostenuto Villone – e successivamente venni sentito anche dall’allora procuratore di Palmi Cordova (foto di lato) che agli inizi degli anni ’90 fece alcune perquisizioni a Vibo nella loggia Morelli e nelle abitazioni private di molti massoni, sequestrando numerose carte e persino un teschio umano di provenienza ignota.

Cordova mi diede delega ad indagare sulla massoneria vibonese insieme al capo della Squadra Mobile di Catanzaro dell’epoca. In tale periodo trovai una sera centinaia di auto ferme e parcheggiate nei pressi della sede della loggia Morelli a Vibo, in via Santa Ruba. Chiamai questa persona della Squadra Mobile e con una piccola telecamera dell’epoca riprendemmo tutte le targhe delle auto lì presenti. La sede della loggia Morelli a Vibo è in un sotterraneo di proprietà di Bellantoni ed all’epoca le due logge – Morelli e Carducci – a Vibo facevano il bello ed il cattivo tempo».
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Giornalista
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