Scuola, 8mila euro per conseguire un titolo (falso) e accedere a concorsi e diventare docenti. In manette un’avvocatessa calabrese
Nove arresti e 39 indagati: coinvolta Maria Saveria Modaffari. Le società erano costituite all'estero e solo in apparenza erano abilitate al rilascio di titoli di studio riconosciuti anche in Italia
C'è anche la calabrese Maria Savaria Modaffari, detta Mary, tra le nove persone destinatarie di una misura cautelare in carcere eseguita dai finanzieri del Comando provinciale di Bari e coordinata dalla Procura. I destinatari del provvedimento cautelare sono indagati, unitamente ad altre 30 persone a vario titolo e in concorso tra di loro, per i reati di associazione per delinquere, truffa aggravata, falso materiale, corruzione e autoriciclaggio.
L’odierna operazione costituisce l’epilogo di un’articolata attività di indagine, delegata al Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Bari e alla Compagnia di Trani, che avrebbe consentito di disvelare l’esistenza di un’organizzazione dedita al rilascio di titoli di studio e professionali falsi e/o comunque non aventi valore legale nel territorio nazionale, emessi da sedicenti enti universitari, nonché da istituti scolastici di istruzione superiore paritari e scuole professionali dislocate in varie Regioni (Lazio, Lombardia, Calabria e Sicilia).
Nel mirino degli inquirenti una vera e propria fabbrica di diplomi falsi: sistema ben collaudato avrebbe consentito di distribuire diplomi falsi venduti per migliaia di euro. Titoli che poi servivano a sostenere concorsi pubblici, anche nel mondo della sanità. In carcere, tra gli altri, è finita anche Modaffari, già coinvolta in una indagine della Procura di Reggio Calabria su fatti simili.
Ottomila euro per un titolo falso
I numerosi clienti erano aspiranti insegnanti, laureati e diplomati, che pagavano ottomila euro ciascuno per conseguire un titolo e accedere a concorsi pubblici nella scuola e diventare, tra l'altro, insegnanti di sostegno. Il giro d'affari prodotto sarebbe ingente, la Guardia di finanza ha infatti sequestrato beni per un valore complessivo di quasi 10 milioni di euro.
Secondo quanto accertato dalle indagini, i principali indagati avrebbero creato un polo universitario con base operativa a Trani che si sarebbe avvalso di una rete composta da oltre 55 punti dislocati su tutto il territorio nazionale, utilizzata per reclutare i clienti. Inoltre sarebbero state costituite società di capitali all'estero (Cipro, Regno Unito e America Latina) solo in apparenza abilitate al rilascio di titoli di studio riconosciuti anche in Italia.
Il modus operandi
Per pubblicizzare i corsi, venivano usati siti internet, pagine facebook e profili whatsapp. La società, inoltre, consegnava pergamene, certificazioni e traduzioni giurate contraffatte, certificati di equipollenza falsamente emessi da atenei italiani (in particolare dall'Università Sapienza di Roma). Le lezioni si sarebbero svolte tramite una piattaforma web appositamente creata, su cui era caricato anche il relativo materiale didattico, di dubbia validità e veridicità. E al termine dei vari corsi sarebbero stati distribuiti i plichi contenenti le pergamene create dall'organizzazione, attestanti il conseguimento del titolo. In alcuni casi la consegna è avvenuta nel corso di eventi appositamente organizzati presso un hotel di Roma.
Nel corso delle investigazioni è stato inoltre riscontrato l'inoltro via pec al ministero dell'Università e della ricerca (Miur) di centinaia di richieste di riconoscimento dei titoli universitari, prive di qualsiasi documentazione a supporto, strumentali all'ottenimento di una ricevuta di protocollo generata in automatico dal sistema informatico del dicastero, da utilizzare illecitamente per ottenere un temporaneo incarico di insegnamento.
A seguito di contrasti sorti a causa della spartizione dei profitti illeciti, il gruppo criminale si sarebbe successivamente diviso in tre distinte compagini: la prima avrebbe offerto, nel territorio tranese, percorsi formativi professionali attraverso la costituzione di altre imprese ed aggregandosi a nuovi soggetti; la seconda avrebbe perpetrato il sistema fraudolento costituendo un nuovo “polo” a Foggia - avvalendosi di ulteriori società e associazioni culturali - e acquisendo le quote di un’università privata albanese per mezzo della quale garantire il conseguimento di titoli di studio sempre non aventi valore legale in Italia. In questo contesto due degli indagati avrebbero corrotto un funzionario governativo albanese al fine di garantirsi l’attivazione e la favorevole conclusione del procedimento di accreditamento dell’istituto; la terza, grazie anche all’apporto operativo di un avvocato del foro di Reggio Calabria, avrebbe proposto ai discenti truffati dal gruppo foggiano la consegna di una pergamena, creata ad hoc, in sostituzione di quella già ricevuta, dietro il pagamento di una somma oscillante tra i 500 e i 2.500 euro.
Fondamentali, ai fini dell’accertamento delle condotte truffaldine, sono risultati i riscontri operativi acquisiti attraverso: la testimonianza in atti di un significativo campione di clienti (circa 50), che hanno descritto il “modus operandi” del gruppo criminale fornendo utili elementi informativi per individuare i “tariffari praticati”; le intercettazioni telefoniche ed ambientali, opportunamente attivate nei confronti dei principali soggetti; la preziosa collaborazione del Miur, dell’Università Sapienza e degli altri soggetti pubblici e/o privati richiamati nella documentazione ingannevolmente predisposta.
Gli ingenti proventi illeciti conseguiti, oggetto dell’odierno provvedimento di sequestro, quantificati complessivamente in circa 10 milioni di euro, sarebbero poi stati reinvestiti nell’attività criminosa, nell’acquisto di beni mobili (tra cui un’autovettura di lusso del tipo Maserati) ed immobili (opportunamente “schermati” dall’intestazione a persone giuridiche). Parallelamente, sono state sottoposte a sequestro impeditivo le quote sociali di 8 imprese, con la conseguente nomina di un amministratore giudiziario, e sono in corso di esecuzione decine di perquisizioni personali e locali in tutta Italia. Le società coinvolte sono state, altresì, segnalate per i profili di responsabilità amministrativa dipendente da reato.