La morte che nulla cambia nella baraccopoli della vergogna ai confini dell’umanità

REPORTAGE | Sette giorni fa il tragico incendio in cui perse la vita il giovane migrante originario del Gambia, Suruwa Jaiteh. La rabbia e le lacrime hanno presto lasciato il posto alla quotidianità della vita nel campo che va avanti come sempre, tra stenti e la ricerca del minimo indispensabile per poter tirare avanti

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di Francesco Altomonte
9 dicembre 2018
12:24
La baraccopoli di San Ferdinando
La baraccopoli di San Ferdinando

Le macerie sono ancora lì a distanza di una settimana, fermo immagine della tragedia in cui ha perso la vita un ragazzino di 18 anni, istantanea di un degrado senza fine per i migranti della baraccopoli di San Ferdinando. Sette giorni fa, alla prime luci dell’alba, gli inquirenti davano un volto e un nome a quel corpo carbonizzato, che i vigili del fuoco avevano estratto dalle macerie qualche ora prima, nella casupola di plastica e stracci dove stava dormendo. Era Suruwa Jaiteh, inserito nel progetto Sprar a Gioiosa ionica. Il giovane gambiano era a San Ferdinando solo per fare visita ad un amico, ma nella prima notte passata alla baraccopoli ha trovato la morte, orrenda e senza senso, che lo ha strappato alla vita a soli 18 anni.


Dopo una settimana la baracca arsa dalle fiamme è ancora lì, ma per le centinaia di migranti che popolano questa bidonville, il cordoglio è un lusso che non ci si può permettere, le lacrime e la rabbia hanno molto presto lasciato il passo alla lotta quotidiana per la sopravvivenza.


La vita al campo, quindi è ripresa e va avanti come sempre, tra stenti e ricerca del minimo indispensabile per poter tirare avanti, uomini e donne intrappolati in un presente senza fine, nel quale la gioia quotidiana è rappresentata da una coperta nuova o da una giornata di lavoro nei campi.


Ma anche la solidarietà pare essere scomparsa da questo pezzo di Italia senza umanità. Le associazioni di volontariato dopo anni di impegno sono andate via una ad una, lasciando di fatto sul campo solo la Flai-Cgil che da rappresentante dei lavoratori agricoli si è andata piano piano trasformando anche in sindacato di strada. Anche ieri i sindacalisti erano in zona per la distribuzione di coperte ai giovani migranti sparsi tra la nuova tendopoli e la baraccopoli. «La Flai-Cgil – si legge nel comunicato diramato stamattina - ancora una volta si è resa protagonista con una squadra guidata dal segretario generale di categoria della piana di Gioia Tauro Rocco Borgese e dai due stretti collaboratori per l’aerea immigrazione Jacob Atta e Dumbya Mohamed; oltre al monitoraggio del territorio contro ogni forma di sfruttamento del lavoro si sono distribuite coperte e sacchi a pelo donati dalla Protezione civile su disposizione della Prefettura di Reggio Calabria».


Nessuna novità neanche sul fronte delle indagini. L’inchiesta aperta dalla Procura di Palmi è sostanzialmente ferma in attesa dell’esito dell’autopsia e delle analisi della polizia scientifica. Ci vorrà tempo per stabilire se qualcuno ha appiccato il fuoco volontariamente per uccidere o se si è trattato di un tragico incidente. La famiglia di Jaiteh giunta a San Ferdinando il giorno dopo il rogo è in attesa di riavere la salma per poterla portare i Gambia.


È passata una settimana dalla tragedia, ma nella baraccopoli della vergogna di San Ferdinando nulla è cambiato e neanche l’ennesima tragedia è riuscita a tirare fuori quel migliaio di migranti dal cono d’ombra in cui sono stati cacciati.

 

 

Francesco Altomonte

 

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